Sabato 11 Gennaio 2020 in Taiwan gli elettori si recheranno alle urne per scegliere il prossimo presidente. Visto lo scenario geopolitico molto complicato di questi ultimi mesi, i rapporti commerciali tra USA e Cina e le continue proteste di Hong Kong, molti paesi occidentali reputano questa tornata elettorale molto importante per gli scenari commerciali e diplomatici nel continente asiatico.

LA REPUBBLICA DI CINA

Il motivo per cui queste elezioni rappresentano un passaggio molto complicato, è dovuto dal fatto che la Repubblica di Cina, nota con il nome della sua isola principale Taiwan, è uno stato de facto. Nello specifico è un vero e proprio stato con una propria sovranità, ma non ha alcun riconoscimento di carattere ufficiale. Ciononostante intrattiene diversi rapporti diplomatici e commerciali con altri paesi del mondo, come ad esempio gli USA. Dopo secoli di trattati e mancati riconoscimenti, continuano le controversie diplomatiche con la Repubblica Popolare Cinese (la cosiddetta Cina tradizionale) che punta all’unificazione, andando così a formare un unico stato. Attualmente la repubblica taiwanese è riconosciuta solo da circa 15 paesi sovrani di tutto il mondo.

Il Taiwan è un paese con un PIL in forte crescita negli ultimi anni. Come molti paesi asiatici, è caratterizzato da una forte esportazione di prodotti molto richiesti dai paesi occidentali, tessuti e apparecchi tecnologici su tutti. Nonostante ciò, il Taiwan non è membro delle Nazioni Unite né della Banca Mondiale.

I CANDIDATI E I TEMI PRINCIPALI

I partiti in corsa alle presidenziali ne sono tre. Il primo è quello del Partito Progressista Democratico o PDD della presidente uscente Tsai Ing-wen; seguito dal Partito Nazionalista Cinese con il candidato Han Kuo-yu e infine dal People First Party con James Soong.

Il tema principale della campagna elettorale riguarda i rapporti diplomatici con la Cina, le spese militari e i rapporti con gli altri paesi internazionali (USA e sud est asiatici su tutti).

Gli estremi rappresentati dai votanti sui temi sopracitati, sono caratterizzati tra quelli dell’indipendenza dalla Cina e quelli che preferirebbero unificarsi. Anche se non è da sottovalutare la parte di elettori che preferirebbe mantenere una sorta di status quo. Una maggiore indipendenza senza dimenticare che il Taiwan a livello commerciale continua ad essere molto legato alla Cina Popolare.

IL PUNTO DI VISTA DEI CANDIDATI

I tre candidati hanno punti di vista molto distanti su tutti i temi che hanno caratterizzato la campagna elettorale.

Per quanto riguarda i rapporti con la Cina, Tsai sostiene di voler mantenere una linea dura pur di riconoscere il Taiwan come stato uno sovrano a tutti gli effetti. Tanto da ricevere numerose critiche da Xi Jinping. Critiche ricevute anche a causa delle politiche di investimenti indirizzate sempre più verso altri paesi asiatici. Anche i rapporti con gli USA continuano ad essere molto criticati dal presidente cinese: i dazi portano un vantaggio alle esportazioni taiwanesi indebolendo così il potere commerciale della Cina. Seppur con una gestione pacifica, la presidente uscente sostiene di volersi impegnare per fa sì che l’indipendenza avvenga prima possibile.

Han Kuo-yu è invece l’attuale sindaco di Kaohsiung, seconda città più importante del Taiwan. Han ha un’impronta radicale e nazionalista rispetto a Tsai. Han sostiene la possibilità di un cambio di rotta sulle questioni di politica estera e ha più volte ribadito di dover coltivare relazioni migliori con la Cina. Dichiarazioni che hanno spinto gran parte dell’opinione pubblica a ritenerlo un “sottomesso” alla Cina. Anche se con una posizione piuttosto moderata rispetto a quella di Tsai, resta anche lui a favore dei manifestanti dopo le vicende di Hong Kong. Han ritiene che con una gestione diplomatica migliore, si potrebbe avere una maggiore sicurezza economica nel lungo periodo.

James Soong è invece il candidato con la visione politica più incline alla Cina. Viene dal partito nazionalista ed è la figura più grata ai cinesi. È alla sua quarta candidatura per le presidenziali. Soong è molto critico all’allineamento diplomatico e alla strategia di importazioni/esportazioni verso gli Stati Uniti. Sembra voler sostenere che nel lungo periodo il crescente rapporto con gli USA, potrebbe risultare poco stabile e duraturo nel caso in cui gli accordi tra quest’ultimi e la Cina dovessero migliorare.

Sulle spese militari, Han e Soong sostengono una linea nettamente contraria a quella della presidente uscente. Durante il suo mandato Tsai ha effettuato una rilevante spesa militare, registrando un aumento dell’8% rispetto agli scorsi decenni. Quest’ultima afferma di voler spingere per una politica di espansione dell’industria militare interna e di voler continuare l’acquisto di armamenti dagli USA, infiammando così ancora di più il rapporto con il presidente Xi.

I SONDAGGI ELETTORALI E IL VANTAGGIO DI TSAI

Fin dall’inizio della campagna elettorale nel 2019, Tsai è sempre risultata in netto svantaggio. Oggi invece, dopo una serie di eventi a suo favore, lo scenario sembra essersi rovesciato.

Gli ultimi sondaggi premiano la presidente uscente che risulta essere in netto vantaggio con un’adesione elettorale che oscilla tra il 55.7% e il 45%, Han avrebbe invece una percentuale di consensi che varia tra il 23.2% e il 14%, mentre Soong sembra essere fuori dai giochi visto che partirebbe da una base elettorale di circa il 7.6%.

Nel voler analizzare la posizione dei candidati secondo i sondaggi soprariportati, bisogna tener conto che Tsai viene da quattro anni di presidenza caratterizzati da “alti e bassi”. Un anno fa, ad esempio, la sconfitta del Partito Progressista sembrava essere quasi scontata.

Le ragioni di questa alternanza di trend elettorali sono varie. In primo luogo, la risposta di Tsai alle proteste di Hong Kong è stata molto più forte di quella di Han. Il movimento di Hong Kong, infatti, ha dimostrato alla società taiwanese che è possibile affrontare a muso duro la Cina. Tsai ha sempre sostenuto le proteste di Hong Kong, aumentando il gradimento dei taiwanesi nei sondaggi. In secondo luogo, il sostegno di Taiwan alle proteste di Hong Kong dimostra che il popolo taiwanese non gradisce il principio costituzionale di “one country, two sistems”. Questo approccio è stato adottato anche da Hong Kong dal 1997, ma le proteste indicano che nemmeno i suoi abitanti lo gradiscono.

Altro motivo per cui l’attuale presidente avrebbe guadagnato terreno, è dovuto al fatto che il suo partito rappresenta l’unica forza politica progressista in corsa per le presidenziali. Han e Soong continuano a tenere posizioni nazionaliste frenando probabilmente il consenso da parte degli elettori più moderati. Sembra esserci stato un effetto “coinvolgimento” verso Tsai da parte di tutti moderati.

Bisogna anche analizzare e tener presente che Tsai ha sviluppato ottimi rapporti internazionali e l’economia va molto bene. Un calo nei sondaggi è dovuto anche alla riforma pensionistica, ottenendo al contempo però la legalizzazione dei matrimoni tra persone dello stesso sesso. Si è garantita un nucleo di elettori giovani LGBT che rappresentano lo zoccolo duro del suo elettorato. Ricordando che Tsai è stata la prima presidente donna del Taiwan. Ben distanti e chiaramente meno progressiste anche le posizioni sui diritti civili da parte degli altri due candidati, di fatto non possono contare sul consenso di una grossa parte di elettori.

Ulteriore evento a favore della presidente uscente, sono state le parole di Xi, dove ha riservato parole dure ai taiwanesi, informandoli che l’unificazione è l’obiettivo finale di qualsiasi negoziato e che la Cina non esclude la possibilità di usare la forza militare per raggiungere questo obiettivo. Il discorso di Xi ha portato a reazioni negative da parte di tutta la società taiwanese, e la risposta decisa di Tsai ha conquistato gli elettori.