Lo storico, perfino leggendario, Monastero di Banjska (1312-1316) sorge non lontano dalla città serba, nel Nord del Kosovo, di Zvečan, presso l’omonimo fiume Banjska, immerso in uno scenario incantevole, in cui al piccolo, raccolto, villaggio fa da sfondo una natura potente e suggestiva. Zvečan fu, nel XIII e XIV secolo, una delle residenze reali della corte serba; oggi ospita la Facoltà di Lettere dell’Università di Prishtina a Kosovska Mitrovica. È una piccola città, ma importante, anche per la composizione del suo distretto, collocandosi al vertice di un triangolo ideale con Stari Trg, antica colonia mineraria, e Boljetin, che ospita la celebre Kulla di Isa Boletini (Boljetin, 1864 – Podgorica, 1916), eroe dell’irredentismo albanese. Fa parte della «dotazione» del re serbo Stefan Milutin, che regnò dal 1282 al 1321, della quale, secondo la tradizione, doveva essere l’exemplum, concepito per costituire il più splendido tra i monasteri della serie, che, a sua volta, comprendeva alcuni tra i più splendidi monasteri della regione, dalla Chiesa del Re del Monastero di Studenica, a Kraljevo, alla Madre di Dio «Ljeviška», a Prizren, passando per Gračanica, e San Giorgio a Kumanovo, fino al «Theotokos» del Monastero di Hilandar, sul Monte Athos. Proprio per questo, il sovrano concepì Banjska come propria chiesa sepolcrale, e le spoglie vi furono installate nel 1321, salvo poi essere trasferite altrove, dopo la epica battaglia di Kosovo Polje (1389).

Milutin si fece raggiungere da Danilo, ex abate di Hilandar, proveniente da Monte Athos, cui affidò la realizzazione del Monastero, con la consegna di farne il più splendido tra i tesori imperiali. A dispetto della fondazione augurale, furono lunghissime le vicende storiche che il Monastero si trovò ad affrontare, al punto da diventare, da una delle prospettive più remote, nel cuore dello stato serbo medievale, tra la Raška ed il Kosovo, uno dei testimoni più importanti nelle vicissitudini della storia e, ancor oggi, un luogo della memoria estremamente potente. La costruzione originaria aveva fattezze monumentali, in contrasto con la icasticità e la severità del suo attuale profilo: una chiesa, un refettorio, una biblioteca, e un vero e proprio palazzo imperiale. Già nel 1389, con la battaglia del Kosovo, tuttavia, fu messo a  ferro e fuoco sull’onda dell’avanzata ottomana; nel 1491 fu ancora messo a fuoco e il suo patrimonio librario, preziosissimo, irrimediabilmente ridotto in cenere; nel 1689, spettatore della Velika Seoba, la Grande Migrazione, del popolo serbo, subì forse la devastazione più grande, quando finì per essere impiegato come piazzaforte, prima dall’uno, poi dall’altro dei contendenti, nella guerra che oppose, alla fine del XVII secolo, Austria e Impero Ottomano.

Il Monastero fu, sin da subito, e la storia delle epoche successive lo avrebbe confermato, un «alloro imperiale», quarto, per importanza, della corona dei luoghi sacri e della spiritualità orientale, subito dietro i grandi templi di Studenica, Mileševa, Sopočani. Milutin lo dotò riccamente, come dimostra il suo statuto reale, rendendo così il monastero uno dei più grandi possedimenti ecclesiastici nella Serbia medievale. Il potere ottomano abbandonò Banjska solo nel corso delle guerre balcaniche, tra il 1912 ed il 1913, alla vigilia della Prima Guerra Mondiale, poco prima della fondazione del Regno di Jugoslavia. Fu costruito nel tipico stile della Raška, modellato sull’esempio di Studenica, tuttavia con caratteristiche significative, tipiche dell’architettura serba del XIII secolo. All’ingresso, decorato di marmi scolpiti, spiccano due campanili. All’inizio della navata principale sorgeva un magnifico portale, simile a quello di Studenica, la cui bellezza è testimoniata dalle fattezze della Vergine con Cristo presente nel (non distante) Monastero di Sokolica, altro splendido, piccolo, prezioso, monastero del XIII secolo, con affreschi del XV e del XVI secolo. Sopra la parte centrale sorgeva un’alta cupola. Non meno sorprendente la partizione dell’altare, in marmo scolpito. L’interno era descritto come «meraviglia di bellezza», con i suoi ornamenti ed i suoi affreschi con finiture e decorazioni dorate. L’esterno era in marmo tricromatico, una soluzione caratteristica, recuperata nel modello senese, tipica di Banjska, e le finestre romaniche erano decorate.

Ciò che sorprende è che ciò che rimane – e non è molto – di quella varietà e di quella magnificenza, è sufficiente, tuttavia, per rappresentare ed evocare la bellezza e la ricchezza della fondazione originaria. Semplice, ma non spoglio; severo, ma non angusto, il Monastero di Banjska è ancor oggi un patrimonio culturale straordinario, oltre che una testimonianza delle epoche e della storia, della vicenda culturale e della memoria collettiva, di altissima importanza per l’intera regione. Per le vicende della sua fondazione e per i corsi delle sue epopee, è una testimonianza unica dell’orrore della guerra e della speranza della pace: un «simbolo di pace» in una regione da sempre attraversata da epopee e da conflitti. Ma è anche luogo di vibrante potenza evocativa e di consistente pluralismo stilistico. Basta rintracciarne i dettagli. Idealmente legato al modello di Studenica, si differenzia da tutte le altre dotazioni di Milutin, come epitome sepolcrale in cui si fondono gli stili romanico, gotico e, in singole parti, bizantino, evocando, per di più, le correnti stilistiche dell’Adriatico e della Toscana. La facciata tricolore è unica nel suo genere, mentre all’interno si trovava il Tesoro di Banjska, il cosiddetto «Oro di Banjska», diffusamente celebrato nell’epica serba medievale, costituito dalle decorazioni e dagli ornamenti in oro delle pareti affrescate, sul modello, appunto, di Studenica, Mileševa, Sopočani. Un «tesoro in filigrana»: la sua bellezza è oggi condensata in piccoli esempi o rari frammenti, superstiti e testimoni, di una memoria ancora viva. Una testimonianza diffusa nelle filigrane e nei dettagli; una memoria ridotta in frammenti, ma non per questo dissolta; un messaggio, in un luogo significativo, assai potente, anche per questo, di «principio di pace».