Una gigantesca e assurda fonte d’iniquità, ingiustizia, complessità e inefficienza”: è questo il giudizio severo che si può leggere nelle conclusioni della “Indagine conoscitiva sulla struttura dell’imposta sul reddito delle persone fisiche dal 2003 al 2017” recentemente pubblicata dall’associazione per la Legalità e l’Equità Fiscale (LEF). Si tratta di un lavoro davvero notevole, sia per la quantità di dati e di tabelle riportate nelle oltre 200 pagine della ricerca, sia per le dettagliate analisi e le conseguenti proposte.

Anzitutto è necessario ricordare che l’IRPEF è l’imposta principale, in termini di gettito e soggetti interessati, attraverso cui si attua la progressività stabilita dall’articolo 53 della Costituzione. Dall’indagine emerge che oggi la progressività grava pressoché in modo esclusivo sui redditi da lavoro (dipendente, pensione e autonomo) che rappresentano oltre il 95% del reddito IRPEF dichiarato (nel 2003 questo valore era inferiore all‟85%). Inoltre, c’è uno squilibrio a vantaggio delle dichiarazioni sopra i 50.000 euro con una sostanziale concentrazione del prelievo sui redditi medi fra 20.000 € e 50.000 euro.

Anche le agevolazioni fiscali (oltre 150 fra deduzioni, detrazioni e crediti) sono inique, perché “coprono a pioggia (e spesso in modo casuale) tutti i settori di spesa favorendo in questo modo i contribuenti che le possono far valere per abbattere l’imposta dovuta”. Anche gli 80 euro (introdotti dal governo Renzi) sono discriminanti, poiché ampliano l’area dell’incapienza soltanto per alcuni contribuenti, oltre a creare di fatto tra 24 mila e 26 mila euro un’aliquota marginale del 75%.

L’introduzione negli ultimi anni di alcuni provvedimenti legislativi (super e iper ammortamento) “hanno agevolato lo svolgimento delle attività economiche con partita IVA allargando il vantaggio fiscale di questi contribuenti nei confronti dei dipendenti ai quali non sono riconosciute le spese per la produzione del reddito”.

L’evasione dell’IRPEF è stimata pari a 35 miliardi di euro: un fenomeno esteso, “che riguarda un elevatissimo numero di soggetti”. Contrastare l’evasione di massa, una vera e propria peculiarità negativa del nostro Paese, è, ed è stato in passato, “elettoralmente poco conveniente e per questo si preferisce puntare l’indice solo nei confronti delle multinazionali del web”.

Analizzando i dati, ci si rende conto che “l’elenco clienti e fornitori relativo al valore degli scambi tra i contribuenti che versano questa imposta nonché la tracciatura delle transazioni al consumo finale erano e sono tuttora le due uniche vie da seguire e perfezionare per contrastare i ricavi occultati”. Basta guardare i dati del 2006 e del 2007, in cui fu reintrodotto (dal governo Prodi) l’elenco clienti-fornitori, per rendersi conto della validità di questa affermazione: “purtroppo per ragioni elettorali nel 2008 l’elenco fu soppresso” (dal governo Berlusconi).

All’epoca furono fatte altre scelte, come gli studi di settore e lo spesometro: “nella pratica gli studi di settore hanno finito per legalizzare l’evasione”. Anche la flat tax viene giudicata negativamente: “Questa scelta ha aperto la strada ad una deregolamentazione completa degli esercenti un’attività economica. Questi contribuenti non solo sono esenti dall’IVA ma non sono obbligati anche alla fatturazione elettronica, vanificando in questo modo gran parte dell’efficacia di questo strumento nella lotta all’evasione”.

L’indagine promossa da LEF rileva anche l’eccessiva complessità del sistema tributario italiano, in particolare in confronto con gli USA. In Italia ci sono 150 agevolazioni tra deduzioni, detrazioni e crediti mentre nell’analogo modello di dichiarazione USA sono poco più di 30. Non solo: in Italia esistono varie tipologie di oneri detraibili con 6 aliquote diverse (19%, 26%, 36%, 41%, 55% e 65%). Di conseguenza “ognuna di queste agevolazioni origina pagine d’istruzioni per illustrare le modalità per averne diritto e l’eventuale documentazione necessaria a provare tale diritto”.

Infine c’è l’inefficienza: “ogni anno, e ciò accade tra i Paesi economicamente avanzati solo da noi, milioni di persone/contribuenti e centinaia di migliaia di consulenti, tra personale dei CAF e professionisti abilitati, sono impegnati, al fine di predisporre la dichiarazione dei redditi, a visionare, trattare, fotocopiare miliardi di documenti, attestanti la spettanza delle agevolazioni, con un impiego di risorse e un costo sociale complessivo enorme; risorse che potrebbero essere impiegate per cause più nobili”.

Dall’elenco delle criticità risulta evidente che è necessario intervenire sull’IRPEF per renderla più giusta, più equa, più semplice e con adempimenti meno onerosi. Obiettivo primario delle modifiche “dovrebbe essere il recupero dell’ingente evasione in quanto solo recuperando risorse in quest’ambito si può disporre di risorse per modificare e rendere più equa la struttura dell’imposta”. LEF dice con chiarezza che è “assurdo ed illogico abbandonare il dettato costituzionale della progressività dell’imposta in quanto in tutti i paesi economicamente avanzati le risorse dell’imposta personale sono utilizzate per ridistribuire la ricchezza a sostegno degli individui e delle famiglie meno fortunati”.

È evidente che un taglio delle risorse economiche che entrano nelle casse dello stato implica una diminuzione dei servizi pubblici nella sanità, nella scuola, nei trasporti, nell’assistenza. Pertanto, “la riduzione generalizzata del carico fiscale è un bel regalo fatto ai ricchi”, che già possono provvedere con servizi privati alle loro esigenze. In sostanza la flat tax capovolge l’etica di “sottrarre risorse ai ricchi per darle ai poveri” sostituendola con la scelta di “dare di più ai ricchi sottraendo servizi ai poveri”.

L’indagine si conclude con una dozzina di proposte concrete, tra le quali spiccano quella di “ridurre le aliquote applicate agli scaglioni di reddito medio-bassi, aumentando contemporaneamente quelle applicate agli scaglioni relativi ai redditi medio-alti” e di “aumentare il numero di scaglioni per riportare alla progressiva linearità il crescere dell’imposta al crescere del reddito”. Tutto sommato si tratta di quello che i Costituenti avevano già stabilito ma che nel corso degli ultimi decenni è stato progressivamente disatteso.