Dal Cairo – o meglio da Ginevra, dove era in corso la sessione annuale della Conferenza internazionale del lavoro – è arrivata l’ennesima presa in giro. In quella sede il ministro del Lavoro egiziano Mohamed Saafan, secondo quanto riferito dal sito Al Bawaba, ha definito l’omicidio di Giulio Regeni come “qualcosa che poteva capitare a chiunque”.

Dopo tre anni e mezzo di bugie, depistaggi e ritardi, le autorità egiziane – in una sorta di macabro gioco dell’oca – sono tornate alla casella zero rilanciando la patacca iniziale, ossia che Giulio sia stato vittima della criminalità comune.

Sono parole ingiuriose, dette nella tronfia consapevolezza che ben pochi chiederanno conto a chi le ha pronunciate.

Il ministro Saafan sostiene che l’omicidio di Giulio debba “essere trattato attraverso la Procura generale egiziana e la sua omologa italiana”. Peccato che da 40 mesi la prima non collabori con la seconda, che a Roma è arrivata a iscrivere nel registro degli indagati persone che non sono esattamente criminali comuni, ma funzionari dello stato egiziano.