Per la prima volta la Palma d’oro è stata assegnata a un coreano, Bong Joon-Ho, regista di “Parasite” (Parassita), in passato vincitore di molti riconoscimenti. Due anni fa il suo film Okja fu estromesso dalla competizione di Cannes dal Presidente di Giuria Pedro Almodovar, perché prodotto da Netflix e dunque destinato non alle sale canoniche ma alla distribuzione in rete.

“Parasite” narra di una famiglia poverissima di Seul – marito, moglie, figlio e figlia adolescenti – che vivono in un seminterrato da cui vedono rifiuti e ubriachi pisciare in strada. Il wifi, senza il quale soffrono di astinenza, riescono a rubarlo dalla connessione di un vicino. Strambi ma uniti dall’affetto, creativi e svegli, anelano a una vita migliore. Ciò accade al loro figlio maggiore quando, per caso, un amico lo raccomanda alla prestigiosa famiglia Park come insegnante d’inglese. Dal momento in cui lo squattrinato giovanotto entra nella villa da sogno dei Park, l’esistenza miseranda di tutti i suoi familiari ottiene una metamorfosi insperata grazie a stratagemmi senza scrupoli messi in atto dal ragazzo e dai suoi. Non basta però a essere felici perché i germi della violenza, suscitati dalle differenze sociali, sono pronti a esplodere, con l’aggravio che, in un’estenuante guerra tra poveri, gli esclusi ambiscono a loro volta a diventare parassiti.

Tragicommedia sulle disparità sociali e sulle schiavitù del terzo millennio, “Parasite” è il resoconto di uno scontro tra classi e soprattutto tra ultimi che, paradossalmente, ci fa ridere: Bong Joon Ho ha confezionato una sferzante tragicommedia, venata di umorismo nero e condita di echi splatter. Il risultato è una storia imprevedibile e buffa sugli squilibri economici del globo, con un preciso monito a chi vuole troppo perché rischia soccombere.

 Data uscita: N. d.