Da un mese esatto siamo entrati nel quarto anno dalla scomparsa, avvenuta il 25 gennaio 2016 al Cairo, di Giulio Regeni.

Trenta giorni fa le piazze italiane si sono riempite ancora una volta di persone che continuano a chiedere la verità. Se non fosse per loro, per la passione dei genitori di Giulio e la tenacia della loro avvocata, quella richiesta sarebbe stata archiviata da tempo.

Non dalla Procura di Roma, che ha messo il punto fin dove è potuta arrivare, iscrivendo nel registro degli indagati una serie di alti funzionari dello stato egiziano.

Ma dall’azione politica di tre governi consecutivi che non hanno mostrato la necessaria volontà per chiedere la verità sul sequestro, la sparizione forzata, la tortura e l’assassinio di un cittadino italiano all’estero.

Si è scelto di puntare esclusivamente sui rapporti bilaterali, agitando un po’ il bastone (il temporaneo ritiro dell’ambasciatore, dall’aprile 2016 all’agosto 2017) e offrendo tanta immeritata carota.

Ci è stato detto, in altre parole, che ricucire presto i rapporti – mostrando che era soprattutto interesse italiano più che egiziano – avrebbe favorito l’avvicinamento alla verità.

Questa strategia ha fallito. Sta alla politica trovarne un’altra. Malgrado passi, di tempo ce n’è ancora.