Sputatemi addosso. Parlerò di ministri puzzoni e bava alla bocca. Di presidenti malfattori e di notizie taroccate. Parlerò di pacchia che non finisce mai. Parlerò di menti flaccide e falsità. Parlerò di martiri veri e grugni col ghigno. Sputatemi addosso. Grugni e ghigno di ministri puzzoni con la bava alla bocca sulla pista di un aeroporto, nella pacchia perenne di chi ha sempre un nemico da abbattere, sia esso un poveraccio in mezzo al mare o un condannato al carcere a vita. Presidenti malfattori che, a una manciata di giorni dalla fine del mandato, pur di garantirsi l’immunità assicuratagli dal loro successore, firmano un decreto che viola le norme legali in vigore.

Notizie tutte da ridere su appostamenti, pedinamenti e azioni eroiche da sembrare fabbricate di sana pianta per ottenere consenso e giustificare l’ingiustificabile. Menti flaccide e falsità di una popolazione bombardata da parole e notizie diventate vere solo perché ripetute migliaia di volte. Grugni e ghigno del popolaccio tripudiante sul cadavere di un eroe. Nel 2009, per criticare la decisione sovrana di non concedere l’estradizione del condannato, un noto deputato del paese richiedente, con la mannaia in mano e litri di odioso razzismo disse: “Quel paese è più conosciuto per le sue ballerine che per la qualità dei suoi giuristi, che non venga a darci lezioni”.

Sputatemi addosso. Perché bastava che me lo chiedessero e gli avrei detto con sicurezza dove l’avrebbero trovato. E invece sono corsi a casa di un amico di Lula. Speravano davvero che fosse lì. Pensa i titolacci del giorno dopo: terrorista assassino nascosto a casa di un amico di Lula! Ma me lo potevano chiedere, lo sapevamo tutti dov’era. A Cuba no di certo. In Nicaragua dove altri condannati come lui ci vivono da un pezzo, neanche: troppo difficile arrivarci. In Venezuela, impossibile, a causa del flusso di disperati che di là fuggono a migliaia, le frontiere sono guardate a vista dall’esercito. L’ultimo dei paesi amici nel continente era proprio la Bolivia. Bisognava andare a cercarlo là fin da subito. La domanda di asilo politico è dei primi di dicembre. Altro che pedinamenti, appostamenti e lavoro di intelligenza. Le autorità boliviane hanno sempre saputo dove fosse. Nome cognome e indirizzo. Nome vero, cognome vero e indirizzo vero. Niente barba finta ma la sua faccia autentica, non esistono pizzetto e baffetti capaci di cambiare i connotati a nessuno. Le immagini dell’arresto sono chiarissime. Un agente arriva a sparare in aria, non ce n’era bisogno, appena vede la polizia il condannato si inginocchia e alza le mani. Lo sparo è un surplus, tanto per gradire. Come il ghigno dei ministri accorsi in aeroporto per vederlo andare a marcire in galera! E se ci fossero ancora le antiche galere, ai remi, ai remi come Ben Hur. A marcire in galera, pacchia finita, pacchia eterna invece per chi ha eterni nemici da combattere, come dimostra in ogni circostanza il ministro caciarone in divisa. Marcire in galera, perché l’accordo fatto col presidente uscente prevedeva l’estradizione del condannato a patto che questi scontasse al massimo trent’anni: la pena massima prevista dalla legge del paese dove il fuggiasco per tanto tempo ha trovato ospitalità.

Te lo consegno se mi garantisci i trent’anni. Fu l’accordo stipulato tra il paese ospitante e il paese richiedente. Te lo consegno per garantirmi l’impunità che il mio successore mi ha promesso: vuole fare un regalo a un ministro puzzone, vuole dargli la pacchia infinita, glielo ha promesso per tutta la campagna elettorale. Bastava che me lo domandassero, avrei spiegato l’intrallazzo: un presidente uscente accusato di losche nefandezze si mette d’accordo con un paese amico per consegnargli un condannato a patto che la pena non superi i trent’anni, perché la legge locale così vuole. Una firmetta. Ecco fatto. Il presidente uscente sa che così facendo avrà l’immunità garantita dal successore bavoso. Forse il presidente uscente sarà ambasciatore nello stesso paese in cui il condannato sconterà la sua pena, forse, per lo meno così lui spera. Lo si accusa di corruzioni e malaffare, il presidente. Ma ha regalato al successore la futura e auspicata cattura del fuggiasco già promesso come un trofeo al ministro in divisa. Le promesse tra bavosi si devono onorare e compiere come quelle tra mafiosi. Bavosi e mafiosi, se volete vi spiego la differenza e le somiglianze.

Però il fuggiasco condannato è riuscito a scappare prima dell’insediamento. È scappato in Bolivia. E là è stato catturato e l’accordo fatto con il presidente uscente non vale più. In Bolivia è un tà tà e bonasera. Niente permessi niente accordi. Forse, chi lo sa, mah, hai visto mai. Per cui a estradizione avvenuta sconterà la pena integralmente, marcirà in galera, marcirà. Uno arriva in Bolivia, chiede asilo politico, fa domanda ufficiale. Le autorità preposte non rispettano le procedure che la legge del loro stesso paese prevede. Chiamano la polizia straniera e consegnano ad essa il fuggitivo. Adesso i giornaloni raccontano di pedinamenti, di contatti con malavita locale, di soffiate, raccontano un film, una serie Netflix quando invece bastava chiedermelo.

Il cadavere appena tolto dalla forca viene eretto per esporlo alla turba unita in un unico grande ghigno. Siamo a Vienna nel 1916, l’uomo offeso anche nella morte si chiama Cesare Battisti, un eroe. Due ministri sghignazzano sulla pista di un aeroporto. Gli è appena stato consegnato un condannato fuggitivo. Chissà quale accordo hanno fatto con le autorità boliviane, chissà. Se qualcuno me lo chiede glielo posso anche dire. È inutile che fate quella faccia, tanto le fonti da dove ho preso le informazioni che ho scritto non ve le dirò, arrangiatevi, bastano due click, una infarinata di spagnolo, intuire un po’ il portoghese e ci siamo. E se volete favorire, adesso fate pure, sputatemi, sputatemi addosso.