Il 25 gennaio, per il terzo anno, migliaia e migliaia di fiaccole si accenderanno in più di 100 città italiane: alle 19.41 esatte, l’ora in cui il 25 gennaio 2016 al Cairo Giulio Regeni diede notizie di sé per l’ultima volta prima di essere inghiottito dal collaudato sistema repressivo egiziano presieduto da Abdelfattah al-Sisi.

Questi tre anni sono trascorsi nell’inconcludenza delle iniziative italiane: l’unico gesto di “inimicizia”, il ritiro dell’ambasciatore in Egitto, è stato annullato dopo un anno e mezzo senza che la collaborazione della magistratura del Cairo alle indagini si fosse dimostrata finalmente seria ed efficace. I “passi avanti” da parte del “partner ineludibile”, nelle parole pronunciate nell’estate del 2017 dall’allora Ministro degli Esteri Alfano, non c’erano stati. Non ci sono mai stati. Ma neanche uno.

Le autorità egiziane ne hanno approfittato: prima depistando, poi prendendo tempo, persino minacciando ripercussioni di fronte alla meritoria determinazione della Procura di Roma e all’attivismo del Presidente della Camera Roberto Fico. Hanno inasprito la repressione, che non ha solo lambito, ma ha direttamente colpito i difensori dei diritti umani (e, con un’attitudine criminale, anche i loro familiari) che al Cairo collaborano alla ricerca della verità.

La domanda che occorre fare all’attuale governo, dopo averla rivolta ai precedenti due, è questa: per quanto tempo ancora intenderete porterà avanti l’inconcludente strategia di chiedere la verità per Giulio e cercare, contemporaneamente, di scongiurare ripercussioni sul piano politico, economico e militare?

Dopo tre anni, ed è davvero molto tardi, è giunto il momento di avere coraggio: la verità non si chiede solo quando è a costo zero. Si chiede, a tutti i costi. Per Giulio. Per i Giulio e le Giulia d’Egitto.

Non fateci arrivare a un quarto 25 gennaio senza la verità!