Niente sarà più come prima. O meglio, niente sarà più come pensavo che fosse. Perché in fondo anche se non sembrava, tutto è sempre stato uguale a se stesso. Però adesso è diverso, adesso è tutto nebuloso, chiaramente, nitidamente  nebuloso, confuso. Ecco la contraddizione, tutto è di una chiarezza così nebulosa e talmente confusa che ogni spiegazione, ogni analisi obiettiva può lasciare il posto a sensazioni epidermiche. Perché quando si dice colpo di stato, si pensa al Chile di Pinochet, o all’Argentina di Videla. Quando si dice golpe si pensa alla lunga storia di interventi militari organizzati dalla CIA che il nostro continente ha sofferto durante tutto il ventesimo secolo. Il giorno prima delle elezioni, il presidente del supremo tribunale a reti unificate, parla di “festa della democrazia”. Se le urne funzionano normalmente, se non esistono brogli, se il clima è di totale tranquillità, perché mi ostino a parlare di golpe? E che razza di golpe è questo? Una alleanza spuria tra il grande capitale transnazionale, i profeti del neoliberalismo della scuola di Chicago e i movimenti neoconservatori rappresentati dalle sette evangeliche, dalla rabbia della classe media e dalla élite più retrograda della Terra. Una narrativa costruita dai potentati dei media in combutta con la bieca politicaglia di sempre, la destra razzista e xenofoba, il capitale volatile, i neo conservatori, i neo liberisti, le chiese evangeliche, la magistratura serva di interessi inconfessabili.

No, non è una teoria della cospirazione. Rileggo gli interventi di eminenti personaggi della cultura nazionale e mondiale, da Chomsky a Suely Rolnik, da Pérez Esquivel a Jessé de Sousa. Rileggo quello che il sottoscritto ha scribacchiato in questi ultimi anni. Era tutto annunciato, in ogni azione, in ogni parola, stava scritto il giorno nefasto che oggi viviamo e il nero futuro che hanno preparato per ciascuno di noi. L’attacco alle forze popolari avviene di forma coordinata dove, perfino le proteste sacrosante della gente, vengono guidate e pilotate. Nel 2013, ad esempio in occasione delle spese nababbesche per la costruzione degli stadi dei mondiali, le grandi proteste di massa, apparentemente senza la partecipazione di movimenti organizzati, vennero usate dai potenti di cui sopra come pretesto per convocarne altre molto più rabbiose e invocare la dittatura militare e l’impeachment di Dilma Rousseff. Tutto chiaro, nebuloso, nebulosamente chiaro, chiaramente confuso… Il procuratore capo in ginocchio davanti all’assemblea dei fedeli della sua setta religiosa, invoca la protezione divina per riuscire ad arrestare Lula, l’incarnazione del demonio, la figura simbolo della degradazione nazionale, della degenerazione della nostra gioventù portata dal PT sulla strada del vizio, della droga e della teoria del gender. La moglie del giudice inquisitore apre una pagina facebook in cui dà voce agli strali del marito che, mentre indaga e giudica, patteggia la sua futura nomina a super ministro del governo che oggi, primo gennaio, comincia.Tutto nebuloso, tutto chiaro. Il giudice inquisitore che manipola abilmente le regole costituzionali in favore di volontà politiche pilotate da interessi economici giganteschi, come la distruzione sistematica della Petrobras per poter vendere indisturbati il petrolio alle transnazionali. Il congelamento della spesa pubblica per vent’anni attraverso una modifica costituzionale permessa da un parlamento dominato dalla manovalanza criminale della vecchia politica, abbandonata subito dopo alla propria sorte e costretta dal giudice inquisitore a confessare i suoi crimini da ladra di polli. Le privatizzazioni selvagge di servizi strategici. Lo smantellamento delle università attraverso il taglio dei fondi. La criminalizzazione dei movimenti popolari alternativi. Ecco fatto: la sinistra distrutta col suo leader in prigione e la vecchia politicaccia totalmente coinvolta negli scandaletti di sempre. L’obiettivo è stato raggiunto: il totale discredito della politica e di quello che rimaneva della res pubblica. E una volta uccisa la politica si spalancano le porte dell’inferno. Viene eletto un presidente le cui parole trasudano sangue, le cui minacce colpiscono oltre che l’intera sinistra, le minoranze più fragili; un presidente che arriva a cavallo della nuova legge sul lavoro – approvata dopo l’impeachment di Dilma e l’arresto di Lula – capace di smontare in un colpo solo le rappresentanze sindacali, il contratto collettivo di categoria e perfino il ministero del lavoro, del quale si dichiara l’inutilità: la flessibilizzazione dei rapporti tra capitale e lavoro si personalizza e acquisisce un carattere prettamente personale: ogni lavoratore dovrà trattare direttamente con il “padrone”, privo di ogni tutela legale. Ripeto, tutto approvato dal servilismo del parlamento composto da corrotti, prima osannati come araldi della democrazia per aver favorito l’impeachment presidenziale, poi a loro volta vituperati e arrestati da quella stessa magistratura che ne esaltava il valore e che non perdeva occasione di sedersi al loro fianco; la medesima magistratura che oggi fa parte del governo, presieduto da un ammiratore di Pinochet e Hitler, ma al servizio dichiarato dei profeti del neoliberismo. I conservatori retrogradi amanti degli slogan tipo “Dio Patria e Famiglia”, da sempre voce e faccia della classe media inviperita contro i politici ladri, applaudono adesso guardandosi le spalle perché sanno che tra poco toccherà a loro. Se erano utili negli anni sessanta e settanta del secolo passato, quando per fare un golpe era necessario l’appoggio armato sostenuto dagli strati della piccola borghesia; nel capitalismo globale del profitto immediato, per la loro indecente mentalità retrograda non c’è più spazio. E quando sarà il momento verranno spazzati via da una violenza cento volte superiore alla forza dei loro slogan reazionari.

L’immagine di Lula caricato a spalla dalla sua gente come un gigante di pietra dell’Isola di Pasqua, ha fatto il giro del mondo. Lo accompagnavano in galera con un ultimo abbraccio di ringraziamento. Grazie a lui, per la prima volta nella storia del paese, le classi popolari hanno avuto accesso alle università e ai beni di consumo e si sono sentite rappresentate dalla voce rauca e dalla barba di uno di loro. I piani di ausilio sociale, per molti, sono stati la differenza tra morire di fame e poter sopravvivere. Un ultimo abbraccio al vecchio leader condannato da forze molto più grandi di un semplice giudice, oggi ministro. Contemporaneamente, a pochi chilometri da lì, il padrone del più lussuoso bordello della Americhe, nella piazza antistante alla casa di incontri, vestito da carcerato in segno di scherno a Lula, inscenava una pantomima di uno stupro: una ragazza seminuda fatta a pezzi dall’energumeno in questione. Tra le risate del pubblico e gli auguri di morte verso Lula, Dilma e la sinistra tutta, in nome di Dio, della patria e della famiglia tradizionale, il pubblico in delirio per la birra distribuita gratis, applaude da par suo il tenebroso spettacolo. Sulla parete di fondo, due gigantografie fanno da scenario alla perversa rappresentazione, sono le due personalità che hanno dato l’avallo legale a tutto quello che stiamo vivendo: il giudice inquisitore-ministro e la presidente della corte suprema.

Il Brasile nato dallo stupro della donna indigena e della donna africana conferma la sua origine. Non è vero che tutto è confuso e nebuloso. Le cose non sono state mai così limpide come adesso, mentre il fiele del potere inonda la nazione, una ad una sono cadute tutte le maschere. A partire da oggi comincia il duro lavoro per il riscatto della nostra dignità. Niente sarà più come prima. Viva o Brasil.