Domani 3 novembre inizia a Gerusalemme il Festival della letteratura palestinese e scrittori di origine palestinese, provenienti da vari paesi del mondo in cui vivono in seguito alla diaspora seguita al “48, arrivano o tentano di arrivare nella “città santa”.

Anche Susan Abulhawa, autrice, tra l’altro, del famosissimo “Ogni mattina a Jenin”, il romanzo-saga di una famiglia palestinese con cui l’autrice ricostruisce la storia della Palestina dal 1947 al 2002, provava ad arrivare a Gerusalemme. Provava, provenendo dagli Stati Uniti in cui vive, ma al Ben Gurion è stata fermata, praticamente detenuta in attesa di essere estradata  perché Israele non la considera persona gradita.

E’ d’obbligo una precisazione: la scrittrice non intendeva andare in Israele, ma visto che la Palestina TUTTA, senza alcuna eccezione, ma solo con modalità diverse, è ASSEDIATA dallo Stato ebraico il quale, infatti, detiene le chiavi di accesso e decide arbitrariamente chi può entrare e chi no, è stata bloccata ed ora è detenuta arbitrariamente e le si vuole impedire di partecipare al festival palestinese.

Una strana democrazia quella israeliana! Non si limita ad aver paura del dissenso, non si limita a commettere crimini quotidiani contro i palestinesi sotto occupazione e sotto assedio, ma mostra il suo biglietto da visita di Stato che ignora, anzi calpesta la libertà di espressione, fin da quando si scende (quando ci si riesce, perché a volte si viene addirittura bloccati in partenza) nell’aeroporto dedicato a Ben Gurion. Il padre di questo Stato, l’uomo che un giorno prima della fine del Mandato britannico sulla Palestina AUTOPROCLAMO’ la nascita di Israele andando fuori della stessa Risoluzione Onu 181 che proponeva la partizione della Palestina storica in tre aree.

Con quale diritto Israele, che avendo chiuso quel che resta della Palestina nel suo illegale assedio sotto la sua illegale occupazione militare, può decidere chi far entrare e chi no? La risposta è semplice: con nessun diritto, ma solo con l’arroganza della forza che gli deriva dalla benevolenza internazionale verso il suo agire arbitrario e i suoi continui reati.

La società civile, avvertita dell’abuso dal comunicato di Mondoweiss (organizzazione statunitense di ebrei ortodossi critici di Israele) si sta muovendo con una petizione per l’immediato rilascio della scrittrice.

Pochi giorni fa la stessa cosa successe con un’altra cittadina americana e fece notizia. Ma quasi ogni giorno questo succede con persone non famose che Israele, nel silenzio mediatico, può senza disturbo detenere e/o estradare a suo libero arbitrio.

Se si dovesse seguire l’esempio israeliano verrebbe meno uno dei fondamenti della Costituzione italiana (l’articolo 21 e non solo quello). Consentire a Israele di seguitare ad agire al di fuori della normativa internazionale sui diritti umani, inoltre, fa venir meno l’autorevolezza delle stesse istituzioni internazionali, aprendo pericolosamente la strada alla demolizione dell’impianto giuridico su cui poggia la stessa Onu.

Se la petizione lanciata paradossalmente proprio da un’organizzazione ebraica avrà successo, la scrittrice potrà partecipare all’importante iniziativa culturale che si svolgerà nei prossimi giorni a Gerusalemme e di cui vi daremo notizia.

La nostra testata ritiene importante aderire alla petizione citata e invita i propri lettori a fare altrettanto. La cultura non può essere blindata, né possono esserlo le vite umane e Israele, purtroppo, mostrando al mondo che questo è possibile senza pagare sanzioni, diventa un oggettivo nemico non solo dei palestinesi, ma di tutta la comunità mondiale che si riconosce nelle norme del Diritto umanitario internazionale.

Chi vuole firmare la petizione di Mondoweiss può andare qui.