Dicono che il filosofo passi la vita a chiedersi se la zebra sia un cavallo bianco con le strisce nere o un cavallo nero con le strisce bianche. Dicono che quando gli storici cercheranno di comprendere questi ultimi anni, rimarranno come il filosofo a chiedersi se il golpe è mediatico-giuridico o giuridico-mediatico. Non lo si saprà mai, forse.
Sembra che per l’occasione non abbia risparmiato lo spray speciale, quel prodotto che se te lo spruzzi in testa ti copre la pelata con un ciuffo di finti capelli. Il nuovo presidente della Corte è convinto di fare un figurone. La cerimonia e i salamelecchi sono tutti per lui. Il suo discorso però sembra quello di un liceale, per apparire come un colto azzeccagarbugli cita alla rinfusa nomi illustri del diritto, della politica, di cantanti alla moda, e il figurone agognato si trasforma rapidamente in figuraccia. Il tragico succede due giorni dopo; davanti a una platea di.
Stop. Mi fermo e ricomincio. Non è il momento di ironie e facili sorrisi. Abbiamo paura. Davvero. Paura! Paura di quello che verrà, paura di cosa ci aspetta. Paura per la nostra incolumità fisica. Il presidente della Corte Suprema afferma: “Oggi non lo chiamo più golpe, ma movimento, movimento del 1964”. Ecco dunque che in una solenne cerimonia per commemorare i trent’anni della nostra costituzione, il presidente del Corte Suprema riscrive la storia, la deturpa, sputa sui morti, i torturati, i desaparecidos e le loro famiglie. Sputa sul passato e soprattutto sul nostro futuro. E spiana la strada ai futuri torturatori, ai futuri assassini.

“Io sono favorevole alla tortura, e il popolo pure. In questo paese, attraverso il voto non si riesce a cambiare niente, niente, assolutamente niente. Cambierà qualcosa soltanto quando cominceremo una guerra civile per fare il lavoro che il regime militare non ha fatto: uccidere trentamila persone. Ucciderle! Se poi muore qualche innocente, non mi interessa. Se fossi presidente, la prima cosa che farei sarebbe chiudere il parlamento: un auto-golpe”.  Lo ha detto. Lo ha detto. Lo ha detto. La storia insegna che i leader autoritari mai nascondono le loro intenzioni, anzi, il loro piano di governo è sempre annunciano con molta chiarezza: quello che dicono di fare lo fanno poi davvero. E lui queste cose le ha dette.

Continuo: “Dobbiamo adottare con urgenza, contro tutti, principalmente contro i difensori dei diritti umani, dobbiamo adottare una rigida politica di controllo delle nascite. Non possiamo più dare ai miserabili i mezzi per mettere al mondo gente che non avrà la minima condizione di essere un bravo cittadino”. Sì ha detto anche questo. Nei comizi, nelle interviste rilasciate in sala stampa del parlamento, lo ha detto.

Continuo: “sono stato in un quilombo (una specie di riserva per i discendenti degli schiavi fuggiti, oggi zone protette come patrimonio culturale, ndr), sono stato in un quilombo e l’afro-discendente più leggero di tutti pesava sette quintali. Non fanno niente dalla mattina alla sera. Non sono utili neanche per procreare”. Lo ha detto. E per assurdo che possa sembrare, queste frasi razziste sono state proferite tra le risate della platea formata dai leader della comunità ebraica, che oltre ad averlo invitato a parlare in mezzo a loro, lo applaudivano a piene mani. Non vado oltre. Prima gli italiani, è finita la pacchia, invece è del vostro ministro. È lo stesso. Purtroppo gli zingari italiani ce li dobbiamo tenere, sempre sua è. Facciadimerda.

Per questo ho paura. Lo ha detto. Il presidente del Tribunale Supremo, lo ha detto. Per questo ho paura. “Preferisco vedere mio figlio morto di cancro  che gay” .“I gay non piacciono a nessuno. Se i tuoi vicini sono una coppia gay il valore della tua casa si dimezza”. “Quando vedi un bambino mezzo effemminato, riempilo di botte e vedrai come si corregge subito”. Lo ha detto. Riempilo di botte che guarisce. Ha detto anche questo.

Continuo: “Qui non esiste questa storiella politicamente corretta che lo stato è laico. Siamo un paese cristiano. Dio sta sopra ogni cosa. Lo stato è cristiano, e chi non è d’accordo che se ne vada. Faremo del Brasile il paese della maggioranza, le minoranze devono curvarsi, le leggi esistono a favore della maggioranza, le minoranze o si adeguano o semplicemente scompaiano”. Scomparire, desapareçer. Desapareçer, scomparire. Scomparire. Lo ha detto. E mai smentito. Lo ha detto da Bruno Vespa; no, ma nei nostri programmi megafono della più becera politica spettacolo. Mancavano sei giorni alle elezioni. Il giudice Moro, responsabile del processo-farsa contro Lula, fornisce alla stampa le dichiarazioni di un pentito eccellente: l’ex braccio destro del presidente, in galera. Ci resterà per molto tempo. Spara a zero, elucubra, chiacchiera ormai da mesi. Gli inquirenti non lo ignorano: sono illazioni e dichiarazioni senza alcun riscontro, dicono. Parole di chi è disperato e attacca per non cadere da solo nel baratro. La sua deposizione viene cestinata. Ma il giudice Moro sceglie di renderla pubblica proprio in piena campagna elettorale. I telegiornali la diffondono a profusione: Lula… la corruzione… se vince il suo partito è il caos sociale…

Il risultato è immediato: nei sondaggi, l’unico candidato in grado di sconfiggere la barbarie cala vertiginosamente. E come se non bastasse, la moglie del giudice dichiara la sua preferenza: adesso è facilissimo dedurre chi può godere dell’appoggio del popolarissimo marito cacciatore di corrotti.

Nel frattempo i dirigenti delle potentissime chiese evangeliche e pentecostali cominciano a disseminare via facebook e wathsapp scabrose fake news. La miseria del nostro popolo è talmente grande che qualunque cosa, se divulgata con il crisma dell’autorità, viene creduta e immediatamente assimilata: dall’esistenza del chupa-cabra, alla cospirazione massonica per farci credere che la terra non è rotonda, ma piatta. Prima gli italiani, gli immigrati ci rubano il lavoro. Propagato e ripetuto migliaia di volte, tutto diventa vero. Le fake news in questione vanno oltre qualsiasi decenza: il candidato va a puttane; il candidato farà distribuire negli asili nido biberon erotici di forma fallica in modo da inculcare nei bambini, finché son piccoli, la teoria del gender; lo Stato comunista ti ruberà la casa e la macchina. Mi fermo.

No, continuo. L’ambasciata della Germania diffonde un video istituzionale in cui spiega che il Nazismo era un movimento di estrema destra. È arrivata a tanto per smentire la notizia diventata opinione comune: il Nazismo è di sinistra. Oltre alla bandiera in campo rosso, lo dice la parola stessa: Nazional-Socialismo. E il socialismo è l’ideale di Lula, corrotto e carcerato, amico di Fidel. L’ambasciata tedesca divulga il video e viene ricoperta di insulti, non ci si può fidare neanche dei tedeschi, al soldo del comunismo-sionista-buonista mondiale, come d’altronde lo è la rivista inglese The Economist, che sbatte il mostro in prima pagina col titolo eloquente assai “La nuova minaccia per l’America Latina”.

Non c’è niente da ridere, la cosa è molto seria. Il golpe è una zebra mezza bianca e mezza nera con due teste. Il golpe sono le nostre autorità vigliacche che hanno permesso all’odio diventare prassi politica. Il golpe sono i leader religiosi evangelici fanatici integralisti sostenuti dai proventi del traffico di droga. È la stampa che non informa ma distorce. È la magistratura corrotta, a servizio del potere. È la nostra élite economica forgiata sullo sfruttamento. È il nostro esercito sempre a considerare il popolo come un nemico da abbattere.

E adesso c’è da aver paura. Non perché vanno in giro armati, non perché minacciano di farci sparire. Abbiamo paura perché lo hanno detto, quello che vogliono fare lo hanno detto.

P.S. Scrivo queste righe quando mancano due giorni alle elezioni in Brasile. Dai, magari vinciamo, ci pensi che roba se vinciamo, ma ci pensi…