Le immagini della folla di centroamericani sul ponte attraversando la frontiera tra Guatemala e Messico sono un segno emotivo intraducibile del linguaggio dell’esodo.

La carovana di circa 4.000 migranti honduregni a cui si sono aggiunti – e tutto ci dice che ne arriveranno ancora – nicaraguensi, guatemaltechi e salvadoregni, si è affollata contro le recinzioni dei due ponti di confine tra il Guatemala e il Messico nella città di Tecún Umán.

Questa settimana un gruppo di donne, bambini e anziani è finalmente riuscito ad entrare nel territorio messicano dopo aver abbattuto il recinto sul lato guatemalteco e aver attraversato il fiume Suchiate. Infatti, la frontiera sud ha vissuto una mattinata ad alta tensione quando migliaia di persone hanno infranto le barriere della polizia a Tecun Uman riuscendo ad entrare per il ponte che collega il Guatemala col Messico.

foto: Alfredo Durante

Le fotografie mostrano bambini esausti seduti sul pavimento. La canicola non aiuta la fame, la sete e la stanchezza dovuti alle centinaia di chilometri percorsi a piedi o in bus. Sono migliaia di persone alla ricerca di un’esistenza migliore che i loro paesi gli hanno proibito. In Honduras gli indici di criminalità sono altissimi: secondo dati dell’Osservatorio della Violenza tra il 2015 e il 2016 il numero solo dei femminicidi ha superato il migliaio e il 20% del Prodotto Interno Lordo del paese viene dal denaro spedito dai migranti alle famiglie. In Salvador la violenza de las maras dilaga, il Nicaragua di Ortega non smette di mietere vittime ledendo i diritti fondamentali della sua stessa gente e in Guatemala la mancanza di risorse economiche e gli spostamenti forzati hanno distrutto la vita di molte comunità costringendole a migrare.

Intanto a Città del Messico, il Segretario di Stato degli Stati Uniti, Mike Pompeo, appoggiato dal suo omologo messicano Luis Videgaray, ha insistito su come il Messico dovesse fermare l’incontenibile folla, la cui avanguardia è nata a San Pedro Sula, considerata una delle capitali più violente del mondo. L’alto Commissariato per i Rifugiati delle Nazioni Unite, non smentito dalle autorità messicane, dichiara che le prime richieste di rifugio sono iniziate giovedì. Richieste che si sono moltiplicate per più di 11 in cinque anni nel paese, da 1.296 nel 2013 a 14.596 nel 2017, anche se le risposte positive sono solo 1.907, il 13%.

Lo scontro decisivo come sempre non avviene nelle strade delle città di frontiera, ma nelle stanze del potere tra i governi degli Stati Uniti, Messico, Guatemala, Honduras e il Salvador. In ballo il viaggio di migliaia di persone che non hanno alcuna intenzione di fermarsi: il fenomeno dei centroamericani in transito è esploso, diventando imprescindibile e la risposta non può essere ridotta a minacce o magniloquenze istituzionali.

La grande domanda è cosa accadrà nelle alte sfere. La carovana ha già dimostrato la sua forza sovrumana affrontando momenti difficili, come quando i migranti sono stati trattenuti in Guatemala, mentre Jimmy Morales cercava di rassicurare Trump promettendo il rientro di 2500 honduregni. La potenza della folla e la porosità del confine tra Ciudad Hidalgo (Messico) e Tecún Umán hanno fatto crollare ogni tentativo di contenimento da parte delle istituzioni messicane. Davanti a questa situazione il neoeletto presidente Manuel Lopez Obrador, detto anche  AMLO, ha promesso a partire dal suo insediamento definitivo a dicembre protezione e lavoro grazie a un programma di regolarizzazione attraverso il rilascio di visti lavorativi. Offriremo lavoro ai migranti centroamericani. È un piano che abbiamo: chi vuole lavorare nel nostro paese avrà supporto, avrà un visto di lavoro. Non vogliamo affrontare la questione con le misure di forza, ma dando opzioni, alternative” ha dichiarato in una conferenza stampa lo scorso mercoledì.

Contemporaneamente sul fronte è stato arrestato l’attivista Irineo Mujica, della ONG Pueblos Sin Fronteras, che da anni organizza le svariate carovane che transitano da una frontiera all’altra del Messico. Una detenzione arbitraria, denunciano i vari centri di diritti umani presenti nel territorio, come il Fray Matias de Cordova e Voces Mesoamericanas, che stanno pretendendo il suo immediato rilascio.

Davanti a questo flusso migratorio di ineguagliate proporzioni nella regione la politica internazionale è obbligata a prendere delle decisioni sostenibili.