Dopo l’incontro mattutino di Villa Niscemi che annunciava percorso e obiettivi della seconda marcia mondiale per la pace e la nonviolenza, è stata la sede del circolo Arci “Stato Brado”, in pieno rione Kalsa a Palermo, ad ospitare un’altra assemblea della manifestazione Mediterraneo, Nonviolenza, Pace promossa dalla Consulta comunale della Pace.

Qui, facilitati da Francesco Lo Cascio, portavoce della Consulta, si sono raccolte le esperienze, tra le altre, di Gianmarco Pisa, Carla Biavati, Amico Dolci, Enzo Sanfilippo (Comunità Arca di Lanza del Vasto), dei giovani dell’operazione Colomba. Sopra tale dibattito, sono spesso aleggiati i nomi ed il pensiero di Alberto L’Abate e Aldo Capitini.

Uno strumento non violento: le ambasciate di pace

Il tema centrale dell’incontro è stato quello della definizione del ruolo delle ambasciate di pace.

Tale struttura soprattutto, assieme a quella dei Corpi civili di pace, si ritiene possa svolgere un ruolo determinante per comporre i conflitti o, comunque, per circoscrivere le violenze.

La presenza, infatti, di operatori disarmati internazionali può rappresentare, si è detto, una sorta di scudo / dissuasore alle violenze. Tali operatori infatti, rappresentano la possibilità di circolazione internazionale delle informazioni. E’ il silenzio, invece, l’alleato dei violenti.

L’ambasciata di pace non si limita a questo. Il suo compito è anche quello di portare fuori dai luoghi di conflitto, e dentro i luoghi di decisione, le legittime richieste dei perseguitati.

In definitiva, le ambasciate di pace sono uno strumento della diplomazia dei popoli, autonoma da tutti i governi sia finanziariamente che politicamente. Sono uno strumento della società civile e delle popolazioni.

Si è discusso, in proposito, sul fatto che essa possa essere attivata solo dietro richiesta della popolazione interessata.

Si tratta d’un compito non semplice, hanno chiaramente fatto intendere Gianmarco e Carla: l’ambasciatore di pace deve essere capace ascoltare, di mappare il conflitto, comprenderne cioè le origini e il ruolo e le ragioni di ogni partecipante, avere capacità negoziali per comporre il dialogo e la riconciliazione.

Un appello del popolo siriano in esilio

In proposito, ci è apparsa interessante l’esperienza di Operazione Colomba in Siria. Si tratta d’un gruppo di operatori dell’associazione Comunità Papa Giovanni XXIII che vive stabilmente, dal 2014, tra le tende o le baracche del campo profughi siriano di Tel Abbas nel nord del Libano. Si tratta di uno dei “non luogo”, senza sanità e scuola, senza futuro, dove sopravvivono ammassati un milione e mezzo di scampati alla guerra che ha distrutto la Siria.

Da qualche mese i messaggeri di Operazione Colomba stanno diffondendo in Italia ed in Europa la richiesta dei profughi siriani, di questi esseri umani: ritornare nel proprio paese, in una zona neutrale e sottoposta a protezione internazionale in cui non abbiamo accesso altri attori armati.

La Verità e la Giustizia per garantire pace e libertà

Forse cambiando tema, o forse no, Amico Dolci, figlio dell’indimenticabile Danilo, ha brevemente illustrato l’attività del centro educativo “Centro di sviluppo creativo”, dove, col metodo maieutico, tra gli altri progetti, si cerca di elaborare una scuola per come la vogliono i bambini.

In conclusione dell’incontro, Alfonso Navarra ha voluto ricordare tanto l’Accordo di Parigi (COP 21) sulla difesa dell’ambiente e del pianeta stesso quanto il Diritto alla Pace propugnato dalla risoluzione dell’ONU del 19 dicembre 2016. Due accordi che devono guidare, a suo dire, la nostra azione.

Della risoluzione ONU, piace ricordare l’art. 2: «Gli stati devono rispettare, implementare e promuovere l’eguaglianza e la non discriminazione, la giustizia e lo stato di diritto e garantire la libertà dalla paura e dal bisogno quali misure per costruire la pace dentro e fra le società».