Dopo anni 5 di teorie, presentazioni e raccolte fondi, è partito ufficialmente questa settimana il progetto ‘Ocean Cleanup, che mira alla raccolta di migliaia di tonnellate di plastica dagli oceani. Si tratta della prima vera prova su campo con l’attrezzatura definitiva, chiamata System 001, come a testimoniare l’intenzione di realizzarne numerose altre versioni qualora sia un successo. Partita dalla baia di San Francisco la meta prestabilita per questa prima fase si trova a circa 240 miglia nautiche di distanza (444 km), in mezzo al Pacifico per provare a liberarlo da 80.000 tonnellate di plastica. Nel corso degli anni abbiamo seguito da vicino la nascita e lo sviluppo di questa idea in diversi articoli che vi riproponiamo:

Nel pezzo del 2017 “L’isola di plastica” ricordavamo che “Oltre ad investire di più su un’economia circolare non sono poche le iniziative che a livello mondiale mirano a ridurre l’utilizzo della plastica o che vorrebbero addirittura provare a rimediare ai danni fatti eliminandola dagli Oceani. È il caso di Ocean CleanUp, la straordinaria invenzione dell’allora 18enne Boyan Slat che ha ideato un dispositivo in grado di catturare milioni di tonnellate di rifiuti grazie ad una barriera galleggiante di oltre 2 km e profonda tre metri che convoglia grazie alle correnti oceaniche la plastica in un compattatore alimentato con l’energia solare. Dopo aver annunciato il 3 maggio scorso la realizzazione del primo prototipo attraverso una campagna di crowdfunding, adesso la società olandese che si sta occupando della produzione del dispositivo ha annunciato che il programma di pulizia degli oceani partirà entro i prossimi 12 mesi, in anticipo di due anni rispetto al 2020, la data inizialmente prevista. A fine anno si svolgeranno i test in mare al largo della costa occidentale degli Stati Uniti, poi nel 2018 CleanUp si occuperà del Great Pacific Garbage Patch, l’isola di plastica del Pacifico, con l’ambizioso obiettivo di recuperare 5 milioni di detriti dagli oceani e rimuovere fino al 42% della plastica che galleggia in mare

In “Plastica adieu, anzi vaarwel!” del 2016 scrivevamo che “Prevenzione quindi da un lato, e idee per tamponare dall’altro. Tra queste ultime si fa notare l’interessante progetto di un ventenne olandese, che parte proprio dalla considerazione che la gran parte della plastica prodotta nel mondo si concentra in 5 grandi discariche oceaniche create dalle correnti e aventi dimensioni terrificanti, le cosiddette “garbage patches”. L’autore di questa invenzione dal basso è Boyan Slat, intraprendente comunicatore e inventore di una barriera galleggiante di oltre 2 km che convoglia la plastica in un compattatore alimentato con l’energia solare. Il suo crowdfunding gli ha permesso di raccogliere più di 2 milioni di dollari, cifra che porterà all’installazione per la fine dell’anno del primo sistema di raccolta con queste caratteristiche, di fronte alle coste meridionali del Giappone (isola di Tsushima). Le premesse non sono da sottovalutare: il sistema potrà rimuovere fino al 42% della plastica che galleggia in mare e il progetto, nonostante le perplessità di biologi e oceanografi raccolte da «The Guardian» e relative soprattutto alla sostenibilità e resistenza dell’impianto e ad eventuali effetti collaterali sugli ecosistemi marini, merita tutto il successo riassunto dall’ambizioso nome che porta: The Ocean Cleanup. Lo ripetiamo ancora una volta, lavorare per la prevenzione dell’inquinamento ambientale è sicuramente la strada più sensata da percorrere, ma è necessario anche fare i conti con la realtà e, lì dove ormai i danni sono compiuti e anzi hanno accumulato le loro indistruttibili conseguenze nei polmoni della Terra, ogni azione che produca un miglioramento dello status quo deve essere la benvenuta”.

Un anno prima in “Oceani di plastica tra ambientalisti e multinazionali” si spiegava che “Mentre l’organizzazione ambientalista e le aziende si organizzano in una task force con istituzioni, banche e altri donatori, c’è chi si è già messo all’opera per dare una ripulita ai mari: come il ventenne olandese Boyan Slat che, grazie a un crowdfunding in cui raccolto la cifra di ben 2,1 milioni di dollari, ha potuto finanziare il suo progetto Ocean Cleanup, ovvero la costruzione di una grande barriera galleggiante che utilizza le correnti e le onde del mare per raccogliere i rifiuti di plastica. Nel 2016 verrà installato per la prima volta al largo delle coste di Tsushima, isola tra Giappone e Corea del Sud, per poi passare alla grande sfida della grande isola di rifiuti sul Pacifico. Sul fronte europeo, invece, un piccolo aiuto sta venendo dalla lotta all’utilizzo delle buste in plastica nei supermercati, in cui l’Italia per una volta sta facendo bella figura: grazie alla messa al bando dei sacchetti non compostabili, negli ultimi tre anni ha ridotto il consumo di ben il 50%. E i risultati si vedono: secondo un’indagine di Legambiente, infatti, da noi i sacchetti rappresentano meno del 2% del totale dei rifiuti trovati sulle spiagge, mentre negli altri Paesi europei si va fino al 7 per cento. Certo non basta, dato che anche il nostro Mediterraneo non è immune dal problema: al contrario, secondo uno studio pubblicato dalla rivista PLoS ONE nell’aprile di quest’anno, tra le onde del Mare Nostrum ci sarebbero infatti tra le mille e le tremila tonnellate di plastica galleggiante. In pratica, un frammento ogni quattro metri quadrati, che ogni giorno finiscono negli stomaci di pesci, uccelli e tartarughe e altri animali marini. Un pericolo mortale per l’ambiente e per tutte quelle specie, anche protette, di cui il nostro mare è tanto ricco e popolato”.

Insomma le buone idee sono notizie che scappano a Unimondo!

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