Faceva parecchio caldo e la gente stava incollata davanti alla televisione a guardare la partita dei Campionati Europei di calcio. In Italia era appena passato il Pacchetto Sicurezza, nel quale si sanciva il reato penale di immigrazione illegale. Così, quelli che arrivavano nei barconi dall’Albania, dal Kossovo, dal Medio Oriente e dall’Africa, ricevevano acqua per dissetarsi e subito dopo un bell’avviso di garanzia e un soggiorno in centri di detenzione in cui probabilmente sarebbero rimasti a candire chissà quanto.
Con gli amici del Centro delle Culture (1) di diverse città italiane, già attivi nelle varie reti antirazziste locali e nazionali, ci inventammo una campagna ispirata al celebre poema di un pastore protestante, Martin Niemöller, per decenni attribuito erroneamente a Bertold Brecht, e che avevamo riadattato a modo nostro.
Armati di cartelli, ombrelloni, banchetti, volantini e macchina fotografica, mettemmo in moto una azione sociale che voleva, con leggerezza e profondità, creare coscienza riguardo al tema dei diritti umani e dell’accoglienza.
“Prima di tutto vennero a prendere gli immigrati, e stetti zitto, perchè mi stavano antipatici.
Poi vennero a prendere gli zingari, e fui contento, perchè rubacchiavano.
Poi vennero a prendere i senzatetto, e io non dissi niente, perchè avevo una casa.
Poi vennero a prendere gli omosessuali, e fui sollevato, perché mi erano fastidiosi.
Un giorno vennero a prendere me, e non c’era rimasto nessuno a protestare.”
I versi originari di Martin Niemöller (2) in realtà erano un po’ diversi e, su quella falsa riga, il giornalista Lorenzo Guadagnucci, aveva riprodotto il poema adattandolo all’attualità e lo aveva messo sulla copertina del suo libro Lavavetri: il prossimo sono io. Con quella pubblicazione, che riportava fatti e dati precisi, Guadagnucci voleva denunciare le politiche discriminatorie, contro i rom e i lavavetri, che il Comune di Firenze aveva messo in atto in nome della sicurezza e del decoro.
Avevamo preparato dei cartelli plastificati con l’immagine di un mirino e la scritta “Il Prossimo sono io” e, più in basso, uno spazio bianco dove le persone incuriosite, con cui ci fermavamo a parlare, potevano scrivere per quale ragione sentivano che sarebbero stati i prossimi ad essere emarginati o discriminati, se quella linea di pensiero fosse andata avanti. Con il cartello sul petto, quindi, scattavamo una bella foto, che di solito veniva fuori con l’espressione divertita e sorridente del partecipante. Aprimmo anche un blog su cui postare le varie foto e, se fossero stati attivi i social media, come lo sono oggi, forse questa campagna sarebbe diventata virale. Chissà. (https://www.youtube.com/watch?time_continue=11&v=yUNV3V7INTY)
Erano altri tempi, twitter non esisteva e le persone si nascondevano meno dietro a dei nicknames anonimi. Alcuni passanti, in linea con le politiche razziste, soprattutto quelle contro i rom (quelli hanno sempre messo d’accordo tutti, destre e sinistre!) ci offendeva apertamente. Ma ci guardavano in faccia, e anche noi li guardavamo in faccia. E il nostro vuoto consapevole alle loro offese, il silenzio che faceva eccheggiare le loro parole dietro i loro passi, il nostro andare avanti allegramente con le persone che, invece, avevano una sensibilità sviluppata riguardo al tema della discriminazione, generava una forza in noi, una sensazione di giustizia e di futuro, la sensazione che stavamo riequilibrando le forze in campo.
Gli argomenti, purtroppo oggi, sono gli stessi di allora. E adesso chi offende lo fa nascosto dietro a un nickname, ma lo fa anche apertamente e si sente pure in diritto di farlo senza pudore, perché il potere gli fa vedere che si può fare senza vergogna, anzi, che è un vanto.
Ma sono convinta che le battaglie culturali, unite alle azioni sociali che mettono in atto principi di alto valore umano, hanno sempre senso e sono, oggi come non mai, necessarie.
La prossima sarò io, perché non giustificherò mai la violenza e la discriminazione, in nessuna delle loro forme.
(1) Associazione Centro delle Culture. Oggi Convergenza delle Culture http://www.convergenceofcultures.org/it.html
(2) «Quando i nazisti presero i comunisti,/ io non dissi nulla/ perché non ero comunista./ Quando rinchiusero i socialdemocratici/ io non dissi nulla/ perché non ero socialdemocratico./ Quando presero i sindacalisti,/ io non dissi nulla/ perché non ero sindacalista./ Poi presero gli ebrei,/ e io non dissi nulla/ perché non ero ebreo./ Poi vennero a prendere me./ E non era rimasto più nessuno che potesse dire qualcosa”.
Versione di Lorenzo Guadagnucci sul suo libro Lavavetri, edito da Terre di mezzo a gennaio 2009: “Prima vennero per i rom, e io non dissi nulla perché non ero rom. Poi vennero per i lavavetri e io non dissi nulla perché non ero un lavavetri. Poi vennero per gli immigrati e io non dissi nulla perché non ero un immigrato./ Poi vennero per i mendicanti e io non dissi nulla perché non ero un mendicante./ Poi vennero a prendere me e non era rimasto più nessuno che potesse dire qualcosa”.
Versione più conosciuta: “Prima di tutto vennero a prendere gli zingari, e fui contento, perché rubacchiavano. Poi vennero a prendere gli ebrei, e stetti zitto, perché mi stavano antipatici. Poi vennero a prendere gli omosessuali, e fui sollevato, perché mi erano fastidiosi. Poi vennero a prendere i comunisti, e io non dissi niente, perché non ero comunista. Un giorno vennero a prendere me, e non c’era rimasto nessuno a protestare”