Gli stranieri a Roma e nel Lazio sono troppi, e in continuo aumento? Se si ascoltano i cittadini lamentarsi sui bar e negli autobus sembrerebbe di sì. Peccato che le ricerche e i numeri dicano tutt’altro. “La notizia è che non c’è alcuna invasione. I dati, infatti, non mostrano un grande cambiamento rispetto all’anno scorso, ma questo non viene detto”.

Ad affermarlo, la ricercatrice del Centro Studi e Ricerche Idos, Ginevra Dimaio, introducendo il nuovo rapporto dell’Osservatorio Romano sulle Migrazioni, presentato a Roma il 7 giugno e giunto quest’anno alla sua XIII edizione. Uno studio in cui la situazione della Capitale e della regione diventano una sorta di laboratorio, “una lente d’ingrandimento che aiuta a leggere in maniera paradigmatica l’immigrazione a livello nazionale”. E che ci mostra ancora una volta come vi sia una percezione falsata del fenomeno, alimentata in primis dalla propaganda politica in perenne clima di campagna elettorale. “Si tratta di un tema importantissimo ma che purtroppo soffre di una pessima narrazione – ha detto Benedetto Coccia, rappresentante dell’Istituto di Studi Politici San Pio V (istituto che per il terzo anno consecutivo ha dato il suo apporto alla ricerca) – L’immigrazione è un fenomeno, e tutti i fenomeni, se non gestiti o mal governati, possono creare problemi. Ma non può essere definito, come spesso viene fatto, un problema di per sé”.

Vediamo così che nella regione gli stranieri sono 662.927 – il 51,9% dei quali donne – il 13,1% dei residenti in tutto il paese. Tra il 2015 e il 2016 si registra un incremento di appena lo 0,4%,mentre la popolazione complessiva in Italia è diminuita dello 0,1% (“e di questo – dicono gli studiosi – forse dovremmo preoccuparci”). A questo andamento hanno contribuito diverse voci, tra cui i nuovi nati da genitori stranieri. “Questo significa che esiste una fetta di popolazione stabile che qui fa nascere i propri figli: 7300 nel corso del 2016, ovvero il 15,4% di tutti i bambini nati in regione” spiega Dimaio. L’altra voce rilevante sono i nuovi stranieri che si sono iscritti in anagrafe direttamente provenienti dall’estero: 30.600, quasi il 12% del totale delle iscrizioni che si sono avute in Italia. “Sono indice di una popolazione che continua a stabilizzarsi”. Roma è come sempre il fulcro: con 544.956 residenti stranieri a inizio 2017, la Città Metropolitana è la prima provincia per numero di immigrati, confermandosi così la capitale dell’immigrazione in Italia. Oltre la metà vengono dall’Europa e, tra questi, prevalgono i comunitari (78,5%); il secondo continente è l’Asia (26,2%), seguito da Africa (10,9%), America (8,6%) e Oceania. Per quanto riguarda gli Stati di provenienza, al primo posto si collocano i romeni (181mila, il 33,3% del totale), seguiti da filippini, bangladesi, cinesi, ucraini, polacchi, albanesi, peruviani, indiani (per la prima volta fra i primi dieci), egiziani.

Roma è anche la provincia in cui il numero di rifugiati e richiedenti asilo è in assoluto il più alto: sono 17.939, ovvero il 9,1% dei rifugiati e richiedenti asilo soggiornanti in Italia. E se spesso l’accoglienza per questa categoria di persone presenta grosse lacune, il report non manca di sottolineare pratiche positive come il sistema dello Sprar, i progetti di accoglienza diffusa attivati dai comuni su base volontaria. Il Lazio in particolare ne è stato protagonista, con una rete che rappresenta il 12% di quella nazionale, anche se restano comunque troppo pochi i comuni che hanno aperto le proprie porte ai migranti in questo senso: solo uno su otto. “Abbiamo un patrimonio edilizio immenso disponibile, e fuori dalla cinta di Roma c’è tutto un mondo che può beneficiare moltissimo dal sistema di accoglienza” ha commentato Vincenzo Lodovisi, vice Presidente di Anci Lazio. Lodovisi parla di “risorse umane che arricchiscono, in termini economici, culturali e di interscambio”, ricordando l’importanza di pianificare con, e non contro le comunità locali.

Spazio, nel rapporto, anche alle tantissime esperienze di convivenza sociale, riservando numerosi capitoli anche alla questione linguistica e della scolarizzazione, alle pratiche religiose, all’importanza delle donne migranti, così come “al dramma crescente dei tanti insediamenti informali in cui troppi migranti − in transito o richiedenti tutela internazionale − sono costretti a vivere, in condizioni sempre più rischiose per la loro salute fisica e mentale”. Successi e sconfitte, dunque, criticità ma anche progetti e buone pratiche da implementare, come ad esempio i corridoi umanitari: un progetto che offre ai rifugiati e ai richiedenti asilo vulnerabili vie d’accesso sicure e legali sul territorio italiano, e che durante la presentazione del report sono stati definiti “la ribellione alla rassegnazione”. Rassegnazione che in molti casi è diventata assuefazione al dolore degli altri, istupidimento e incattivimento prodotto dai discorsi d’odio e dalle fake news con cui veniamo bombardati di continuo, e a cui nemmeno più i numeri possono porre un argine.

“Oggi ribattere con dei dati oggettivi alle bugie o alla propaganda non è più sufficiente, non esiste più una soglia di verità” si è detto durante la presentazione del Rapporto. Eppure la vita reale – molto più complessa rispetto alle semplificazioni di slogan e propaganda – prima o poi chiederà conto. Quella realtà che il mondo della società civile, delle associazioni, del volontariato, con i loro progetti ed esperienze, conoscono molto bene. Nel report ne vengono citati tantissimi. “Sono la testimonianza di un tessuto urbano che c’è, è solidale, si spende, e ci fa sentire meno soli – commenta Ginevra Dimaio –. Come voci di confine che dalle periferie hanno cominciato pian piano a farsi sentire, tutte insieme sono diventate un messaggio che si è fatto più chiaro: ci dicono che, se vissuta e conosciuta da vicino, la migrazione può essere anche una bella storia”.

 

Anna Toro