Il terzo venerdì della “grande marcia del ritorno” rischiava di trasformarsi nella terza carneficina, peraltro oscurata dall’attenzione ai cieli siriani dove le mire imperialiste s’incrociano senza scrupoli.

Nella distrazione dei media la marcia è andata comunque meglio del previsto avendo fatto “solo” un martire, il giovane Islam Hazarallah e “solo” 969 feriti tra i quali ben 67 bambini.

Un “solo” martire significa che esercito e tiratori scelti ieri avevano il mandato di sparare dalla vita in giù e di lanciare tear gas a volontà, quelli contro i quali le maschere artigianali sono efficaci, ma solo se la quantità non è massiccia. L’alto  numero degli intossicati dice chiaro che Israele non ha fatto economia.

Questa volta abbiamo deciso di seguire le emergenze e abbiamo stabilito il nostro punto di osservazione nel nord della Striscia dove era stato allestito un ospedale da campo gestito dai volontari della Palestinian Red Crescent, la Mezzaluna Rossa palestinese, i quali davano il primo soccorso ai feriti da arma da fuoco e agli intossicati, smistando poi i casi più gravi nei vari ospedali, in particolare Al Awda e Indonesian Hospital che si trovano al nord.

Nei punti di concentramento della marcia la situazione era la solita dei precedenti venerdì: bambini festanti, famiglie, ragazzi, ragazze, anziani e neonati a chiedere pacificamente il rispetto dei loro diritti e, davanti al border, il fumo nero dei copertoni come riparo dalla mira dei cecchini.

L’ospedale da campo era stato allestito in uno spazio protetto da trincee e segnalato con la bandiera bianca della Mezzaluna rossa palestinese: quattro medici, oltre 30 infermieri e alcune ambulanze tutti ben coordinati e incredibilmente efficienti. Le ambulanze fino al primo pomeriggio hanno avuto poche corse da fare, ma dopo le 3 del pomeriggio gas e colpi di fucile hanno reso importantissima la loro presenza. Tra i tanti feriti arrivati nel pomeriggio, un uomo anziano, un bambino, alcune donne e diversi ragazzi intossicati dai gas, alcuni molto seriamente e una decina di ragazzi feriti da proiettili, la maggior parte alle gambe. Molti di loro, probabilmente, non cammineranno più. Un prezzo che tutti sembrano disposti a pagare per rivendicare il rispetto dei loro diritti.

Gli organizzatori della marcia, nel loro scegliere un tema per ogni venerdì, ieri hanno scelto come tema “le bandiere” ed hanno portato centinaia di bandiere di carta con la stella di Davide  con l’intenzione di mostrare il loro disprezzo verso l’assediante bruciando simbolicamente questi fogli carta simboleggianti la bandiera israeliana e piantando ove possibile la bandiera palestinese.

Ma l’azione più rischiosa e significativa, quella per cui si temeva un peggior bagno di sangue, era quella di portare le cesoie e tagliare la rete per mostrare che i gazawi non sono animali da chiudere in gabbia ma sono disposti a rischiare la vita pur di avere la libertà. Un gruppo di ragazzi è riuscito nell’impresa ed ha tagliato e trascinato per qualche metro la rete tagliata, registrando un video dell’azione e postandolo sui social con l’intenzione di comunicare al mondo di essere disposti a tutto per avere la libertà.

Ora ci si chiede cosa accadrà il prossimo venerdì e a quale risultato porterà questa grande marcia che dovrebbe concludersi il 15 maggio, giorno della nakba.

Gli organizzatori dell’iniziativa, cui tanto Hamas che tutte le altre organizzazioni politiche hanno dato il loro supporto, sanno che il popolo gazawo ha solo due vie avanti a sé: o accettare l’elemosina a vita e piangersi addosso come viene  sollecitato a fare, spegnendosi lentamente, o riuscire ad essere l’esempio vincente per tutti i palestinesi, superando sia le tante divisioni dei vertici, sia la corruzione come sistema di mantenimento dello status quo.

Ma Israele ha una grandissima forza militare e se il mondo non si oppone potrebbe seguitare a farne impunemente uso spegnendo nel sangue le richieste di applicazione del Diritto internazionale dei gazawi. Questo significherebbe l’annichilimento della lotta non violenta, ultima strategia scelta dagli organizzatori della marcia e appoggiata da Hamas e non ne beneficerebbero davvero i palestinesi, ma neanche gli israeliani e, per la logica dei vasi comunicanti, non ne beneficerebbe neanche il mondo.

Intanto i feriti meno gravi aspettano di uscire dagli ospedali per portare di nuovo il loro  contributo pacifico a questa grande marcia, mostrando che la dignità è capace di coprire anche la paura della morte.

Paolo Loreto