Le parole nell’immagine:

“Sarebbe per me massima tristezza
vedere che gli ebrei sionisti fanno agli arabi di Palestina
buona parte di quello che i nazisti fecero agli ebrei”

 

di Ramzi Baroud
Pubblicato la prima volta su Counterpunch, il 25/4/2018

 

Albert Einstein, insieme ad altri luminari ebrei tra cui Hannah Arendt, pubblicò una lettera sul New York Times il 4 dicembre 1948. Accadde pochi mesi dopo che Israele aveva dichiarato la sua indipendenza e centinaia di villaggi palestinesi venivano demoliti dopo che i loro abitanti erano stati espulsi.
La lettera denunciava il nuovo partito Herut di Israele e il suo giovane leader, Menachem Begin.

Herut derivava dalla banda terroristica Irgun, famigerata per i suoi numerosi massacri contro le comunità arabe palestinesi che causarono la Nakba, la catastrofica pulizia etnica del popolo palestinese dalla loro patria storica nel 1947-48.

Nella lettera, Einstein e colleghi descrivevano il partito di Herut (Libertà) come un “partito politico che, per la sua organizzazione, i metodi, la filosofia politica e approccio populista è strettamente affine ai partiti Nazista e Fascista”.

Il fatto che una lettera di questo tipo comparisse solo pochi anni dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale e la devastazione dell’Olocausto indica profondamente la chiara voragine che esisteva tra gli intellettuali ebrei dell’epoca: da una parte i sionisti che sostenevano Israele e la sua violenta nascita; dall’altra quelli che mantennero un alto profilo morale e si opposero.
Purtroppo quest’ultimo gruppo – sebbene ancora esistente – aveva perso la battaglia.

Successivamente, Herut si unì ad altri gruppi per formare il partito Likud. Begin ricevette il premio Nobel per la pace e il Likud è ora il principale partito nella coalizione di governo israeliana, prevalentemente di estrema destra. La filosofia di Herut di tipo “nazi-fascista” ha prevalso e ora pervade e definisce la maggioranza sociale in Israele.

Questa tendenza di destra è ancora più pronunciata tra i giovani israeliani rispetto alle generazioni precedenti.
Il primo ministro Benjamin Netanyahu è il leader del partito di Begin, il Likud. La sua attuale coalizione comprende il ministro della difesa di origine russa, Avigdor Lieberman, fondatore del partito ultranazionalista Yisrael Beiteinu.
In risposta alle continue proteste popolari dei palestinesi assediati a Gaza, e in giustificazione dell’elevato numero di morti e feriti inflitti dall’esercito israeliano ai manifestanti disarmati, Lieberman ha affermato che “non ci sono persone innocenti a Gaza”.
Quando il Ministro della Difesa di un paese rivela questo tipo di convinzioni, non si può essere scioccati dal fatto che i cecchini israeliani stiano sparando sui giovani palestinesi, e festeggino davanti a una telecamera quando colpiscono il bersaglio.

Questo tipo di discorso – fascista per eccellenza – non è affatto una narrativa marginale all’interno della società israeliana.
La coalizione di Netanyahu è piena di personaggi così moralmente riprovevoli.
La politicante Ayelet Shaked ha spesso chiesto il genocidio contro i palestinesi. I palestinesi “sono tutti nemici combattenti e il loro sangue deve ricadere su tutte le loro teste”, ha scritto su un post di Facebook nel 2015. “Ora questo si riferisce anche alle madri dei martiri… Devono andarsene, e devono sparire le case in cui esse allevarono i loro serpenti. Altrimenti, altri piccoli serpenti saranno allevati lì”.
Pochi mesi dopo la pubblicazione di quella dichiarazione, Netanyahu, nel dicembre 2015, l’ha nominata Ministro della Giustizia.
La Shaked fa parte del Jewish Home Party, diretto da Naftali Bennett. Quest’ultimo è il ministro dell’Istruzione israeliano e noto per dichiarazioni altrettanto violente. È stato uno dei primi politici a difendere soldati israeliani accusati di violazione dei diritti umani al confine di Gaza. Altri importanti politici israeliani hanno seguito il suo esempio.

Il 19 aprile Israele ha celebrato la sua indipendenza. La mentalità “nazi-fascista” che definì Herut nel 1948 definisce ora la più potente classe dirigente in Israele. I leader di Israele parlano apertamente di genocidio e omicidio, tuttavia celebrano e promuovono Israele come un’icona della civiltà, della democrazia e dei diritti umani.
Anche gli intellettuali sionisti del passato sarebbero rimasti terribilmente inorriditi al vedere che razza di creatura sia diventato il loro Israele, sette decenni dopo la sua nascita.

Certo, il popolo palestinese sta ancora combattendo per la propria terra, identità, dignità e libertà. Ma la verità è che il più grande nemico di Israele è Israele stesso. Il paese non è riuscito a separarsi dalla politica violenta e dall’ideologia del passato. Al contrario, il dibattito ideologico in Israele si è risolto a favore della violenza perpetua, del razzismo e dell’apartheid.

Nella presunta “unica democrazia in Medio Oriente”, il margine di critica è diventato molto limitato.
Sono personaggi come Netanyahu, Lieberman, Bennett e Shaked che ora rappresentano l’Israele moderno e, dietro di loro, un massiccio collegio di religiosi di destra e di ultranazionalisti, che hanno scarso riguardo per i palestinesi, per i diritti umani, il diritto internazionale e valori apparentemente futili come la pace e la giustizia.

Nel 1938, Einstein aveva criticato l’idea che sta dietro la creazione di Israele. È contraria alla “natura essenziale dell’ebraismo”, affermò.
Qualche anno dopo, nel 1946, egli discusse davanti alla Commissione d’inchiesta anglo-americana sulla questione palestinese: “Non riesco a capire perché ci sia bisogno di uno stato israeliano… Credo che sia male”.
Inutile dire che, se Einstein fosse vivo oggi, si sarebbe unito al movimento Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni (BDS), che mira a riconoscere Israele responsabile delle sue pratiche violente e illegali contro i palestinesi.
Altrettanto vero, sarebbe sicuramente etichettato come antisemita o “ebreo che odia se stesso” dai leader israeliani e dai loro sostenitori. I sionisti di oggi sono, invero, inamovibili.

Ma questo doloroso paradigma deve essere rovesciato. I bambini palestinesi non sono terroristi e non possono essere trattati come tali. Non sono neanche ‘piccoli serpenti’. Le madri palestinesi non devono essere uccise. Il popolo palestinese non è “nemico combattente” da sradicare. Il genocidio non deve essere normalizzato.
70 anni dopo l’indipendenza di Israele e la lettera di Einstein, l’eredità del paese è ancora segnata dal sangue e dalla violenza. Nonostante la festa in corso a Tel Aviv, non c’è motivo di festeggiare: c’è ogni motivo per piangere.
Tuttavia, la speranza è mantenuta in vita perché il popolo palestinese sta ancora resistendo; e hanno bisogno che il mondo sia solidale con loro. È l’unico modo perché il fantasma di Herut smetta di perseguitare i palestinesi, e perché le filosofie “nazi-fasciste” siano sconfitte per sempre.

 

Il Dr. Ramzy Baroud ha scritto sul Medio Oriente da oltre 20 anni. È un editorialista riconosciuto a livello internazionale, consulente per i media, autore di diversi libri e fondatore di PalestineChronicle.com.
Il suo ultimo libro è My Father Was a Freedom Fighter: Gaza’s Untold Story (Mio padre era un combattente per la libertà: la storia mai raccontata di Gaza), Pluto Press, London. Il suo sito web è: ramzybaroud.net

 

Traduzione dall’inglese di Leopoldo Salmaso