Tutto è iniziato come al solito. Il freddo mattutino mi aveva fatto muovere velocemente verso il treno. Quando ho iniziato a lavorare, ho seguito la mia solita routine di controllare la posta elettronica e ricevere l’aggiornamento per oggi. Un’e-mail, intitolata “17 minuti di marcia di protesta” era stata inviata dal nostro preside. Questo era fuori dalla norma: nei miei 19 anni di lavoro in questa scuola non c’era mai stato una marcia di protesta, e questa richiesta non era stata mandata solo agli studenti ma anche all’amministrazione, agli insegnanti e al personale di supporto. Tutti sono stati invitati a stare fuori per 17 minuti, uno per ciascuna delle vittime della sparatoria a Parkland, in Florida, il mese scorso.

Sul marciapiede insieme ai miei colleghi e agli studenti, tenendo discorsi e leggendo poesie, abbiamo visto gli studenti della scuola che sta dall’altra parte della strada camminare in processione con cartelli. Mi sono reso conto che non era solo un evento della nostra scuola, ma qualcosa di più grande, in coordinamento con le scuole di tutto il paese. Oggi, 14 marzo, è stata una Giornata Nazionale di Protesta della Scuola. Lo scopo, secondo gli organizzatori, era di evidenziare “l’inattività del Congresso contro la violenza armata che affligge le nostre scuole e i nostri quartieri”. Organizzata con il sostegno della Marcia delle Donne, si stima che vi abbiano partecipato circa 185.000 giovani in 50 stati. Circa 3.100 scuole hanno dichiarato che avrebbero partecipato, secondo quanto riferito in precedenza da un organizzatore a NBC News.

Questa è davvero una “nuova” e insolita situazione: i capi delle scuole private si inseriscono in questo tipo di lotta sociale e politica. Non si è trattato di un raduno/protesta qualsiasi, ma di uno sforzo coordinato da parte delle amministrazioni scolastiche di tutto il paese, sotto la pressione dei loro studenti, per prendere posizione e partecipare a questa iniziativa.
Questa marcia si è svolta 10 giorni prima della Marcia per le Nostre Vite a Washington DC, e in molte città del mondo.

 

Traduzione dall’inglese di Leopoldo Salmaso