“E’ una corsa contro il tempo”. Con queste parole Filippo Grandi, alto commissario dell’ONU per i rifugiati, ha definito la situazione dei Rohingya nei campi al confine con il Bangladesh: è infatti alle porte la stagione dei cicloni, solita sopraggiungere all’inizio di marzo, che potrebbe causare inondazioni e frane nella regione. Nel giro di un paio di mesi, i rifugiati dovranno anche avere a che fare con l’arrivo della stagione monsonica: si tratta di una stagione che durerà fino ad ottobre, e che porterà piogge torrenziali nella zona. In questo senso, i reportage che ci arrivano dal Bangladesh sono tutto tranne che incoraggianti. I campi che ospitano i profughi sono infatti in pessime condizioni sia dal punto di vista igienico-sanitario che da quello delle infrastrutture.
Le parole di Grandi fanno eco alle dichiarazioni di inizio febbraio rilasciate da Oliver White, che si occupa di situazioni di migrazione forzata presso la sezione australiana di UNICEF. Secondo lui, “Ciò che è già una gravissima situazione umanitaria, può trasformarsi in catastrofe”. White ha poi aggiunto come la priorità assoluta sia quella di salvaguardare le condizioni sanitarie dei bambini, che costituiscono la grande maggioranza nei campi. Il rischio maggiore è quello di contrarre gravi malattie, come l’epatite E o il colera.

Quasi contemporaneamente a queste dichiarazioni, la Birmania si è detta, attraverso le parole del ministro Kyaw Swe, pronta al rimpatrio dei rifugiati, onorando quindi a parole il trattato firmato con il Bangladesh a novembre. A riportarlo è stato “BD News”, canale di notizie bengalese, a seguito del meeting tra Swe e il Presidente del Bangladesh MD Abdul Hamid. Quest’ultimo, ha però sottolineato come il ritorno “in patria” (il governo birmano li considera apolidi) dei Rohingya debba essere volontario e sicuro, posizione condivisa fino ad ora da tutti coloro che hanno espresso la loro opinione sulla vicenda.

Vista la gravità della situazione, occorre agire in fretta e in modo intelligente: secondo le stime, sono circa 100.000 i rifugiati maggiormente in pericolo con l’incombere della cattiva stagione. E’ anche per questo motivo che i due governi stanno progettando la realizzazione di campi di transizione provvisori al confine tra i due stati.