Locale accogliente e atmosfera amichevole al Macondo biblio cafè di Bergamo per l’incontro-dibattito “Seminare una nuova sensibilità”, un nuovo appuntamento per “fare rete” e trovare forme di appoggio reciproco tra chi si occupa d’informazione e chi si muove in prima linea nella realtà sociale.

Introdotto con calore dal gestore del locale  Fabio (in sostituzione della moglie Monica, che si è ammalata all’improvviso e a cui vanno saluti e auguri dei presenti), l’incontro si avvia con l’intervento di Anna Polo della redazione italiana di Pressenza, che racconta il lavoro quotidiano portato avanti ogni giorno in otto lingue dai volontari delle diverse edizioni dell’agenzia stampa. Ogni volta si tratta di trovare un equilibrio tra la denuncia e la speranza, scoprendo così che queste due categorie si applicano spesso allo stesso tema: si parla degli orrori in Libia e dei respingimenti in mare, ma anche delle reti di solidarietà e appoggio ai migranti e dei salvataggi delle Ong, delle pericolose schermaglie tra Stati Uniti e Corea del Nord sul nucleare, ma anche dello storico (e praticamente ignorato dai media mainstream) accordo per un trattato di proibizioni delle armi nucleari e del Premio Nobel per la Pace ad ICAN (International Campaign for the Abolition of Nuclear Weapons).

Un giornalismo attento e aperto agli attivisti come quello di Pressenza permette inoltre di conoscere persone stupende e coraggiose e di mettere in moto catene di contatti personali che portano a incredibili “giri del mondo”:  la copertura data al movimento dei Sioux di Standing Rock ha permesso di conoscere le campagne di disinvestimento portate avanti in Europa per indurre banche e gruppi finanziari a ritirare i finanziamenti a progetti devastanti come l’oleodotto Dakota Access e dai promotori di questo tipo di iniziativa in Italia si è arrivati all’attivista gay pakistano Wajahat Abbas Kazmi!

Wajahat, attivista del Grande Colibrì e di Amnesty International, racconta poi il suo recente viaggio in Pakistan per girare il documentario “Allah loves equality”, durante il quale ha intervistato transgender, coppie gay e attivisti LGBTI. E lo fa mostrando spezzoni di video ancora da montare, con immagini forti e coinvolgenti, che danno l’idea della violenza fanatica di chi si dichiara pronto a uccidere l’intero governo pakistano pur di mantenere la legge sulla blasfemia. Le immagini di controlli, strade bloccate e proteste si alternano a quelle di feste gay senza alcol e a interviste toccanti.

Ci vorranno ancora due mesi e mezzo per finire il montaggio e il doppiaggio e poi l’intenzione è quella di presentare il documentario in vari festival, come parte dell’impegno, illustrato dal titolo, di conciliare omosessualità e Islam. Un lavoro coraggioso che è valso a Wajahat il premio di attivista dell’anno, assegnato dalla Coalizione Italiana per le Libertà e i Diritti civili (CILD).

Rocco Artifoni racconta la sua esperienza di editorialista di Pressenza e anche questo è un bell’esempio di come le catene di rapporti possano ampliarsi all’infinito. “Da cosa nasce cosa”, si dice spesso e in effetti Rocco è, per sua stessa definizione, un “editorialista per caso”: collabora da tempo con Francuccio Gesualdi, ex allievo di Don Milani che scrive spesso per Pressenza ed è proprio Gesualdi a proporgli una collaborazione più continuativa con l’agenzia. A un articolo iniziale sulla tassazione se ne aggiungono molti altri, in particolare sulla riforma costituzionale (50), l’economia e il debito (44) e le vaccinazioni obbligatorie (6), per un totale di 116 articoli in due anni. Scritti sempre approfonditi e ben documentati, che finiscono spesso nella Top Ten di quelli più letti e a volte sostengono posizioni diverse rispetto ad altri sullo stesso argomento, come è accaduto nel caso del Fiscal Compact. Un esempio di come Pressenza stimoli il dibattito e accolga punti di vista differenti, purché rispettino la sua regola fondamentale: il no a qualsiasi forma di violenza e discriminazione.

Annamaria Rolla di Amnesty International – Italia inizia il suo intervento leggendo un messaggio di Riccardo Noury, portavoce italiano di Amnesty, che ricorda come il 14 di ogni mese, anniversario dell’invio al Cairo dell’ambasciatore italiano,  sia anche il giorno in cui si intensifica l’attività per chiedere “Verità per Giulio Regeni”. Purtroppo il suo non è un caso isolato – in Egitto ci sono migliaia di scomparsi – e le attuali campagne di Amnesty sono proprio dedicate alla denuncia di questa e di tante altre situazioni in cui i difensori dei diritti umani sono in costante pericolo.  Subiscono arresti e intimidazioni e spesso si arriva a torture e uccisioni. Nel 2015 ne sono stati uccisi 150 e nel 2016 280 – e questi sono solo i casi certi e documentati!

Per questo Amnesty International ha lanciato a livello mondiale la Maratona delle Azioni Urgenti, una campagna di pressione e raccolta firme a sostegno delle vittime di gravi violazioni dei diritti umani. Ogni paese si dedica ad alcuni casi in particolare: per l’Italia si tratta della Giamaica, dell’Honduras e della Turchia.

Vengono poi citati i documentati rapporti sulla terribile situazione dei migranti in Libia, la richiesta di canali sicuri di arrivo in Europa per i migranti e la campagna sulle nuove tecnologie: per proteggere le comunicazioni di messaggistica e via Skype tra attivisti e giornalisti è stato chiesto alle principali compagnie del settore di adottare un sistema di crittografia end to end. Microsoft non ha risposto, mentre altre, come Apple e Viber, hanno mostrato una maggiore disponibilità.

Conclude il giro di interventi Francesco Mazzucotelli, docente di Storia della Turchia e del Vicino Oriente dell’Università di Pavia, citando la guerra in Yemen come un tipico esempio di notizia censurata per non dover parlare delle armi vendute dall’Italia all’Arabia Saudita, che vengono poi usate per bombardare un paese ormai allo stremo.

Non si tratta solo della guerra, ma anche dell’embargo sulle merci e sui trasporti e della mancanza di medicinali fondamentali come gli antibiotici e di attrezzature ospedaliere. Si arriva così a casi strazianti di bambini morti di fame e di medici che non possono curare i loro pazienti, una situazione denunciata in un video di enorme impatto. Certo, mostrando una madre con il figlio appena morto di fame si rischia di fare della pornografia del dolore e dunque bisogna porsi degli interrogativi etici: fin dove si può arrivare per descrivere la violenza? Fin dove arriva il diritto-dovere di raccontare e a che punto bisogna fermarsi per rispettare la sensibilità di un altro essere umano? Sono questioni aperte, ma va sottolineato che grazie a video come questo si è riusciti ad attenuare almeno in parte l’embargo sui medicinali.

Le nuove guerre ormai non corrispondono all’immagine tradizionale di soldati e carri armati che si affrontano in battaglie sanguinose, ma coinvolgono soprattutto i centri urbani e i loro abitanti. In questo senso l’informazione è ormai diventata un vero e proprio fronte, uno dei piani su cui si combatte. Tutto vale: la censura, ma anche le mezze verità, le fake news, la valanga di stimoli e pseudo notizie in cui diventa difficile discernere cosa è fondamentale e cosa del tutto secondario, la semplificazione di scenari complessi che andrebbero invece capiti e analizzati a fondo.

Ancora una volta, l’unica forma di opporsi a questo degrado è “resistere”. E così il cerchio si chiude, tornando al tema dell’importanza di fare rete tra chi informa e chi conosce direttamente realtà ignorate e censurate dai media ufficiali.

Dopo due ore di intensi interventi e di domande dal pubblico, resta il tempo per partecipare alla raccolta firme di Amnesty e per godersi lo squisito “Aperitivo solidale” organizzato dal Macondo.