Le carceri che hanno aderito al giorno di digiuno nazionale, indetto per domenica 10 dicembre 2017, (Anniversario della Dichiarazione dei Diritti Umani) contro la pena dell’ergastolo sono i seguenti:

Carcere di Fossombrone, Carcere di Trieste, Carcere di Opera (Milano), Carcere di Trieste, Carcere di Treviso, Carcere Femminile di Vigevano, Carcere di Oristano, Carcere di Prato, Carcere di Saluzzo, Carcere di Verona, Carcere di Spoleto, Carcere di Rebibbia (Roma), Carcere di Padova, Carcere di Catania, Carcere di Livorno, Carcere di Rossano (Cosenza), Carcere di Siracusa, Carcere di Torino, Carcere di Civitavecchia (Roma), Carcere di Caltanissetta, Carcere Catanzaro Siano.

Hanno aderito anche circa 2.000 detenuti ed ergastolani, si possono leggere i loro nominativi sul sito www.liberarsi.net

Dopo aver invitato il Papa, abbiamo scritto anche una Lettera aperta a tutti i Sacerdoti.

Voci da dentro

Ecco alcune testimonianze di ergastolani:

La condanna definitiva all’ergastolo l’accolsi, mio malgrado, apparentemente, in modo asintomatico. Le persone a me care non si accorsero che in fondo ero morto dentro. Successivamente sentii rabbia nascosta, alternata a stati di apatia e rassegnazione. Indubbiamente, se potessi scegliere, preferirei la pena di morte: è terribilmente crudele e inutile tenere un essere “umano” rinchiuso fino alla morte. Non esiste umanità in istituzioni che permettono la tenuta in vigore di questa pena. L’ergastolano non vive, resta sospeso nella linea sottile che divide il vivere dalla morte, senza poter sperimentare nulla della vita: la gioia, la felicità, l’AMORE, sono solo ricordi passati, ci si aggrappa a quelli per fingere di non essere ancora morti, pensando, sognando un futuro che non diverrà realtà mai. Percepisco il tempo in maniera distorta, condizionato probabilmente dalla mente, indubbiamente vuoto. Ma comunque è pur sempre un tempo di vita, se sto scrivendo sono vivo, deve per forza essere così. Quindi è anche un tempo di vita. Il carcere “dovrebbe” portare un essere umano ad essere consapevole del male che ha fatto a se stesso e ad altri. La giustizia dovrebbe essere “giusta” ma se applica questo tipo di pene, al fine di sovrastare e annientare il soggetto che ne è sottoposto, non è giusta, bensì primitiva, crudele e “guasta”.

Massimiliano Galastro, Carcere di Porto Azzurro

L’ergastolo è come una condanna a morte, la morte non si riesce ad accoglierla in nessun modo, per cui quando fui condannato in via definitiva fu come se mi avessero strappato dal corpo quell’anima che Dio mi aveva dato. I miei pensieri furono tanti. Si prova delusione: uno Stato che non tiene conto di niente, non va in cerca della verità. L’ergastolo non serve a nulla, anzi permette alla persona di arrabbiarsi ancora di più, non tanto per la condanna, ma per il modo in cui si è trattati nelle strutture penitenziarie. A cosa serve condannare un essere umano all’ergastolo? Certamente non a redimerlo. Il carcere in sè non serve, se non ci sono i mezzi che fanno capire al condannato la responsabilità di quello che ha commesso.

Damiano Mazzola, Carcere di Fossombrone

Accolsi la condanna all’ergastolo come un macigno che non si riesce a sostenere. I miei stati d’animo furono profondamente angosciosi: ti senti senza più speranza, in un tunnel che sai che non ha fine, spogliato di tutto, dignità, amore, affetto, ecc. ecc. Un ergastolano vive il tempo come un’eterna stasi, vivi come se il tempo si fosse fermato. L’ergastolo è una pena da cui non puoi essere riscattato. Senza un futuro, senza alcuna speranza, non solo per te che la vivi in prima persona, ma anche per la famiglia, per moglie e figli che non hanno nessunissima colpa, ma sono costretti a espiarla insieme a te, a VITA.

Davide Granato, Carcere di Agrigento

Quando udii pronunciare la parola ergastolo, in quel momento non avvertii alcuna sensazione. Solo successivamente cominciai a comprenderne il senso e la portata, sperimentando sulla mia pelle i suoi devastanti effetti. Se è vero che le pene detentive devono tendere alla rieducazione del condannato e a favorire il suo reinserimento nella società, la condanna all’ergastolo rappresenta un evidente controsenso. Anche se mitigata dalla previsione di talune disposizioni normative, come la liberazione anticipata, la semilibertà e la liberazione condizionale, la pena dell’ergastolo riveste comunque un carattere perpetuo e ciò per la riscontrata difficoltà nelle concessioni da parte dei vari Tribunali di Sorveglianza di questo Paese. Un ergastolano può riacquistare la totale libertà se ha la fortuna di trovarsi in un istituto penitenziario in cui opera un Tribunale di Sorveglianza che ben accoglie il predetto dettato costituzionale. Se invece non ha questa fortuna, per quell’ergastolano non ci sarà nulla da fare.

Franco Bollinghieri, Carcere di Augusta

La pena dell’ergastolo non è, come molti pensano, un deterrente: è pura violenza, poiché preclude ogni speranza di vita. Una pena, per essere tale, deve essere scontata. L’ergastolo non si può “scontare” se non ha un fine pena, dunque non è una “pena”.

Alfredo Sole, Carcere di Opera -Milano

L’ergastolo è un’inutile tortura, che in uno Stato democratico non dovrebbe esistere. Non c’è un fine pena, nella nostra mente non c’è una data che ponga fine alla sofferenza. Il carcere non ci dà niente, siamo abbandonati a noi stessi, anzi, collabora allo spegnimento della nostra mente.

Ciro Armento, Carcere di Voghera

Chi deve scontare l’ergastolo ostativo di fatto è condannato alla “pena di morte”: la sola differenza è che la deve scontare da vivo. Quindi, egoisticamente, sarebbe meglio la pena di morte, ma tutto questo come spiegarlo ai figli, ai genitori, a una moglie che continua a seguirti, ai fratelli e nipoti? No! Umanamente non si può togliere anche la speranza, anche per tutti quei familiari che si sacrificano e soffrono, forse più di chi è in carcere. La sola colpa che hanno è di avere un congiunto con l’ergastolo e di continuare a volergli bene. Ritengo che lo Stato dovrebbe tener conto dell’aspetto umano e mettere in condizione i familiari, soprattutto i figli, di non dover più percorrere centinaia di km per poter vedere la persona a cui vogliono bene, perché voler bene non è un reato.

Francesco Trimboli, Carcere di Fossombrone

A cura di Carmelo Musumeci per l’Associazione Liberarsi www.liberarsi.net