Siamo militanti perché siamo rivoluzionari, perché crediamo nella libertà politica, la solidarietà e la giustizia sociale, nella speranza, il bene comune e la dignità di tutti. Siamo militanti perché pensiamo con la nostra testa anche se sbagliamo, perché ci provoca dolore l’ingiustizia commessa contro chiunque, arrivi da dove arrivi, perché non dubitiamo nel difendere il piccolo di fronte al grande, il debole di fronte al forte, perché sentendo paura, non una, ma molte volte, comunque abbiamo scelto di rischiare, rischiare tutto, senza aspettare una ricompensa, perché esponiamo la nostra pelle a causa di ciò che crediamo”.

[Parole di Ernesto Che Guevara riportate dalla figlia Aleida Guevara March, LEFT, 17 giugno 2017]

Il 9 ottobre del 1967 Ernesto Guevara veniva assassinato a La Higuera, in Bolivia, dopo la cattura del gruppo di guerriglieri con il quale era partito da Cuba in una data imprecisata di quell’anno. Il “Che” (soprannome che gli era stato dato per il suo modo tipico di intercalare) era nato il 14 giugno 1928 a Rosario, in Argentina.

Ai tempi del fortunoso sbarco del Granma a Cuba il 2 dicembre 1956 aveva appena 28 anni (Fidel Castro ne aveva 29). Sopravvissero in 12 e sulla Sierra Maestra cominciarono la Rivoluzione. Il 29 dicembre 1958 la colonna comandata dal Che vinse la battaglia decisiva di Santa Clara – nella quale 350 guerriglieri comandati dal Che fronteggiarono 3.500 soldati governativi facendo genialmente deragliare il treno blindato che doveva essere la carta vincente di Batista (a Santa Clara è conservato il treno deragliato sulle stesse rotaie): ricevuta la notizia, il 1 gennaio il dittatore fuggì precipitosamente dall’isola, e il 2 gennaio le colonne del Che e di Camilo Cienfuegos entrarono all’Avana.

Il Che venne nominato Presidente del Banco Nacional de Cuba (incarico delicatissimo in un momento cruciale per proteggere le finanze cubane), e quando venne creato il Ministero dell’Industria il 23 febbraio 1961 ricoprì la carica di Ministro per 5 anni.

L’essere umano più completo del nostro tempo

Non è possibile ricordare qui tutte le vicende del Che, ci limiteremo a ricordare alcune delle sue qualità intellettuali e umane che sfuggono spesso alle immagini oleografiche del guerrillero heróico, ma hanno impresso un’eredità indelebile alla Cuba odierna. E forse molto al di là di essa: ed è quello su cui cercheremo di insistere.

Il Che ebbe fin dall’inizio idee molto chiare da un lato sui valori che dovevano essere alla base della costruzione di una società solidale capace di rispondere ai bisogni di tutta la popolazione, e dall’altro sulla necessità di sviluppare una cultura e una scienza avanzate per affrancare Cuba in modo definitivo dallo stato di sostanziale subalternità in cui si trovano tutti i paesi del terzo Mondo. Due obiettivi che egli seppe tenere strettamente legati sia nel pensiero che nell’azione. La Rivoluzione cubana per la sua novità e originalità suscitò grandi interessi in tutto il mondo, attraendo frotte di intellettuali e scienziati: tra questi Jean-Paul Sartre, che incontrò il Che e scrisse che “non era solo un intellettuale, era l’essere umano più completo del nostro tempo”.

L’«uomo nuovo» … e la donna

Il 28 luglio 1960 davanti al Primo Congresso della Gioventù Latinoamericana che si svolse all’Avana il Che propose un concetto che avrebbe poi sviluppato ampiamente: l’idea dell’«uomo nuovo socialista», che concepiva come un nuovo tipo umano nel quale i sentimenti di solidarietà ed impegno nella società si sarebbero imposti sull’interesse e l’egoismo personali.

Chi si stupisse per il termine «uomo» deve pensare che nel 1960 erano ancora lontani i fermenti femministi e le preoccupazioni “di genere”: purtuttavia il Che mostrò ben presto la sua sensibilità in questo senso. In un discorso del 24 marzo 1963 (all’Assemblea Generale degli operai della Fabbrica Tessile Ariaguanabo per presentare i lavoratori di questo centro idonei alla candidatura di membri del PURSC) egli dichiarava, tra altre cose – rilevando che l’organismo del Partito Unito della Rivoluzione Socialista di Cuba eletto in un luogo di lavoro comprendente 3.000 operai includeva appena 4 donne su 197 membri – «effettivamente la donna non si è ancora liberata da una serie di legami che la vincolano alla tradizione di un passato che è morto. E per questa ragione essa non riesce a vivere la vita attiva del lavoratore rivoluzionario. L’altra causa può essere il fatto che la massa dei lavoratori, il cosiddetto sesso forte, ritiene che le donne non abbiano ancora sufficiente coscienza, e quindi fa valere la maggioranza di cui dispone». E aggiungeva riferendosi all’esempio di una «compagna, che era sposata – credo con un membro dell’Esercito Ribelle – per imposizione del marito non poteva viaggiare da sola, e doveva subordinare tutti i suoi viaggi al fatto che il marito lasciasse il proprio lavoro e l’accompagnasse ovunque lei dovesse andare. Questa è un’ottusa manifestazione di discriminazione della donna». E «l’emancipazione della donna deve consistere nella conquista della sua libertà totale, della sua libertà interiore, poiché non si tratta tanto di costrizioni fisiche imposte alle donne perché rinuncino a determinate attività: è anche il peso di una tradizione anteriore».

Fidel, il Che e la scienza

Fidel fece nel 1961 una dichiarazione che è rimasta famosa e sembrava decisamente spavalda per le condizioni di Cuba: «Il futuro della nostra Patria dev’essere necessariamente un futuro di uomini [di nuovo, intesi come esseri umani] di scienza, di uomini di pensiero, perché è precisamente quello che più stiamo seminando». Chi avrebbe scommesso che questa proclamazione si sarebbe completamente realizzata1?! Oggi mentre Trump taglia brutalmente i rapporti con Cuba e cerca di soffocarla economicamente, gli scienziati americani stanno riconoscendo il valore della scienza cubana e promuovendo una mole crescente di incontri e collaborazioni bilaterali.

Il Che era medico, condivideva pienamente questo progetto ambizioso, e dalla sua carica di Ministro dell’Industria contribuì a realizzarlo. Egli ebbe grandi intuizioni nel campo dello sviluppo scientifico, tra cui quella della priorità di sviluppare l’elettronica, in particolare i dispositivi a stato solido, e l’automazione. Si pensi che ancora alla fine degli anni ’60 in Italia la fisica dello stato solido era la Cenerentola della ricerca, mentre Cuba le aveva assegnato un ruolo strategico e nei primi anni ’70 raggiunse un livello competitivo con paesi del Sud America con ben maggiori tradizione, dimensioni e risorse, come Brasile, Argentina e Cile.

Questo è un aspetto estremamente rilevante se lo riferiamo alla situazione attuale del nostro paese, che ha brutalmente tagliato i finanziamenti all’istruzione e alla ricerca, e si trova così fanalino di coda dei paesi della UE. Ma in tutti i paesi manca una discussione reale di come la scienza deve essere usata per il benessere dell’umanità.

Il Che, dal Dipartimento di Industrializzazione del Instituto Nacional de la Reforma Agraria, promosse un’iniziativa che avrebbe avuto enormi sviluppi nel futuro. Su richiesta del governo rivoluzionario, l’URSS offrì cento borse di studio per studenti cubani per studiare ingegneria ed economia in istituti sovietici: solo 85 giovani rispondevano alle condizioni richieste e partirono nel febbraio 1961. Sebbene non fosse previsto che alcuno di questi seguisse il corso di laurea in fisica, 6 di essi chiesero e furono espressamente autorizzati dal Che di passare a tale laurea: al loro ritorno a Cuba, nel 1976, diedero un contributo fondamentale ad ammodernare i corsi di fisica nell’università. Negli anni seguenti si contarono a migliaia i cubani che andarono a studiare in URSS ed in altri paesi del blocco comunista: sebbene il Che maturasse ben presto fortissime riserve sul modello sovietico e la sua applicazione a Cuba.

Nel 1962 il Che organizzò corsi di matematica ed economia al Ministero dell’Industria, chiamando docenti della Scuola di Fisica dell’Università dell’Avana: il corso era indirizzato a un gruppo d’ingegneri, ma egli seguiva puntualmente le lezioni.

Che Guevara aveva appreso il gioco degli scacchi da giovane in Argentina: giocò spesso a scacchi con Fidel sulla Sierra Maestra, nell’infuriare della Rivoluzione, ma sembra che il líder máximo non fosse alla sua altezza. Il Che era un discreto giocatore, a Cuba (che aveva la tradizione del grande Capablanca) promosse attivamente quel gioco, invitando protagonisti da tutto il mondo, intavolando partite amichevoli con molti di essi, e giocando anche attivamente in tornei. Ancora oggi passeggiando per l’Avana può capitare di vedere persone che giocano a scacchi sedute sui gradini di casa (anche se il gioco preferito è il Domino).

Dalla sconfitta a Cuba all’assassinio in Bolivia

Nei primi anni Sessanta si sviluppò a Cuba il gran debate sulle scelte economiche e produttive della Rivoluzione, nel quale Guevara sosteneva l’industrializzazione a scapito della monocultura della canna da zucchero: alla fine del 1963 egli venne sconfitto e poco dopo si ritirò da tutte le cariche, e si eclissò per circa un anno (Che Guevara, L’anno in cui non siamo stati da nessuna parte, Ponte alle Grazie, 1994).

Combatté in Congo, rientrò in incognito a Cuba, dove preparò la spedizione in Bolivia, con la speranza forse di ravvivare fuochi rivoluzionari ideologicamente vergini. Anche in questa spedizione, in cui avrebbe trovato la morte, il suo progetto era di creare una retrovia stabile, nella quale installare una piccola biblioteca.

Nella violenza del conflitto e nelle condizioni precarie sulle montagne, Guevara fornì cure mediche a tutti i militari boliviani che i guerriglieri presero prigionieri e, di seguito, li rilasciò. Anche dopo l’ultima battaglia di Quebrada del Yuro, in cui fu ferito e catturato, quando fu condotto in un centro di detenzione provvisoria e vide che lì si trovavano diversi militari boliviani rimasti feriti nel combattimento, si offrì di fornire loro assistenza medica (offerta rifiutata dall’ufficiale boliviano in comando).

Hasta siempre, Comandante Che Guevara!

1 Si veda A. Baracca e R. Franconi, “Cuba fuori dagli schemi: la ‘rivoluzione scientifica’”, Pressenza, 26 aprile 2016, https://www.pressenza.com/it/2016/04/cuba-rivoluzione-scientifica/.