Amnesty International ha rivelato oggi che la bomba che il 25 agosto ha distrutto un palazzo nella capitale dello Yemen era di fabbricazione statunitense. A questa conclusione sono giunti gli esperti in tema di armamenti dell’organizzazione per i diritti umani, che hanno rinvenuto tracce di componenti “made in Usa” comunemente usati nelle bombe aeree a guida laser.

L’attacco aereo nella capitale yemenita Sana’a ha colpito tre palazzi, uccidendo 16 civili e ferendone altri 17. Sette delle vittime erano bambini, tra i quali cinque fratelli e sorelle della piccola Buthaina, cinque anni, la cui fotografia è diventata immediatamente virale. Altri otto bambini sono rimasti feriti: tra loro Sam Bassim al-Hamdani, che perse entrambi i genitori.

“Non c’è semplicemente alcuna spiegazione con cui gli Usa, il Regno Unito, la Francia e altri paesi possano continuare a giustificare il flusso costante di armi alla coalizione a guida saudita per il loro impiego nel conflitto dello Yemen. Negli ultimi 30 mesi la coalizione si è più volte resa responsabile di gravi violazioni del diritto internazionale, crimini di guerra compresi, con conseguenze devastanti per la popolazione civile”, ha dichiarato Lynn Maalouf, direttrice delle ricerche sul Medio Oriente di Amnesty International.

Dopo aver esaminato le prove fornite da un giornalista locale che aveva rinvenuto tra le macerie alcuni frammenti, gli esperti di Amnesty International hanno identificato il sistema di controllo MAU-169L/B, montato su diversi tipi di bombe aeree a guida laser.

Secondo l’Agenzia Usa per la cooperazione nella difesa e nella sicurezza, nel 2015 gli Usa hanno autorizzato la vendita all’Arabia Saudita di 2800 bombe a guida laser, equipaggiate col sistema di controllo MAU-169L/B: in particolare le GBU-48, le GBU-54 e le GBU-56.

Amnesty International chiede l’immediata applicazione di un embargo complessivo per assicurare che nessuna delle parti coinvolte riceva armi, munizioni, equipaggiamento e tecnologia militare utilizzabili nel conflitto dello Yemen. L’organizzazione per i diritti umani sollecita con urgenza un’indagine indipendente e imparziale su tutte le denunce di violazione del diritto internazionale affinché tutti i responsabili siano portati di fronte alla giustizia.

Vite devastate per sempre
L’attacco del 25 agosto è stato lanciato alle 2 di notte sul quartiere di Faj Attan.

Ali al-Raymi, 32 anni, ha perso suo fratello Mohamed, sua cognata e cinque nipotini di età compresa tra due e 10 anni. Buthaina, la nipotina di cinque anni, è stata l’unica a sopravvivere.

“Quando le chiedi cosa desidera, risponde che vuole tornare a casa. Pensa che quando tornerà a casa ci troverà tutta la sua famiglia. Aveva cinque fratellini e sorelline con cui giocare. Adesso non ne ha più nessuno. Riesci a immaginare il dolore e la pena che porta nel suo cuore?”, ha detto ad Amnesty International Ali al-Raymi.

La coalizione a guida saudita ha ammesso l’attacco, attribuendo le vittime civili a un “errore tecnico”, contro un “legittimo obiettivo militare” appartenente alle forze huthi e fedeli all’ex presidente Saleh.

Secondo fonti locali, uno degli edifici bombardati era frequentato da una persona legata agli huthi. Amnesty International non è stata in grado di confermare la sua identità o il suo ruolo né se fosse presente al momento dell’attacco.

In ogni caso, anche se nei pressi vi fossero stati obiettivi militari, il diritto internazionale umanitario vieta gli attacchi sproporzionali, come quelli che si prevede uccidano o feriscano civili.

Il portavoce della coalizione a guida saudita ha reso noto che l’attacco è stato segnalato al Comitato congiunto di valutazione, per ulteriori accertamenti. Amnesty International non è a conoscenza di alcuna misura concreta adottata dalla coalizione per indagare, prendere provvedimenti disciplinari o rinviare a processo presunti responsabili di crimini di guerra.

“Il completo disprezzo della coalizione per la vita umana e la mancanza d’impegno a indagare mettono in luce la necessità di un’indagine indipendente internazionale sulle denunce di violazioni del diritto internazionale”, ha aggiunto Maalouf.

“È vergognoso che, invece di chiamare i loro alleati a rispondere delle loro azioni in Yemen, gli Usa, il Regno Unito e altri ancora continuino a rifornirli di enormi quantità di armi”, ha concluso Maalouf.

Ulteriori informazioni
È dal febbraio 2016 che Amnesty International sollecita tutti gli stati ad assicurare che nessuna delle parti coinvolte riceva – direttamente o indirettamente – armi utilizzabili nel conflitto dello Yemen. La stessa richiesta sta inoltrando, insieme ad altri partner, Amnesty International Italia al governo italiano, che ha più volte autorizzato l’invio all’Arabia Saudita di bombe prodotte in Sardegna dalla RWM.

Secondo il rapporto annuale sullo Yemen prodotto dall’Ufficio dell’Alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, nel conflitto iniziato nel marzo 2015 sono stati uccisi 1120 bambini e altri 1541 sono rimasti feriti. Nell’ultimo anno, la responsabilità di oltre la metà delle vittime è stata attribuita agli attacchi aerei della coalizione a guida saudita.

Le forze huthi e quelle fedeli all’ex presidente Saleh hanno a loro volta commesso gravi violazioni del diritto internazionale. Secondo il citato rapporto, sono responsabili della maggior parte delle vittime tra i bambini causate da azioni militari sul terreno, come combattimenti, colpi di artiglieria e impiego di mine antipersona, vietate dal diritto internazionale.