L’Associazione per i Popoli Minacciati (APM) teme che il tanto acclamato discorso sullo stato della nazione da parte della Consigliera di Stato della Birmania Aung San Suu Kyi non aiuterà a fermare l’esodo dei musulmani Rohingya dal paese. Il premio Nobel per la Pace ha evitato un affronto alla comunità internazionale condannando tutte le violazioni dei diritti umani. Ma con le sue dichiarazioni che hanno banalizzato e ridimensionato la situazione dei Rohingya non ha certo creato un clima di fiducia da parte della minoranza perseguitata, provocando solo incomprensione e disapprovazione.

Questo discorso può aver soddisfatto i diplomatici, perché conteneva tutti i luoghi comuni e le generiche argomentazioni sui diritti umani. Per noi attivisti per i diritti umani, però, il discorso era una presa in giro perché non ha tenuto assolutamente conto della gravità della situazione per i Rohingya oltre a non lasciar intravedere alcuna soluzione politica al conflitto. Dal 25 agosto 2017 circa 440.000 persone sono fuggite dalla violenza nello stato di Rakhine, tra cui anche circa 30.000 Rakhine buddisti e indù.

Aung San Suu Kyi aveva sottolineato nel suo discorso che tutti i responsabili delle violazioni dei diritti umani sarebbero stati chiamati a rispondere dei propri crimini, indipendentemente dalla loro religione e origine etnica. Tuttavia il Premio Nobel per la Pace ha evitato di parlare delle responsabilità dell’esercito, che è responsabile, secondo tutti i racconti dei testimoni oculari, della maggior parte delle violazioni dei diritti umani. Se i militari non saranno puniti per la loro politica della terra bruciata, non ci potrà essere pace duratura e riconciliazione nello Stato di Rakhine.

Per l’APM l’affermazione di Aung San Suu Kyi secondo cui la maggior parte della Rohingya non sia fuggita è “ignorante e grossolanamente banale”. Solo nelle ultime tre settimane più di un terzo di questa popolazione è fuggita dalle proprie case: per questo ci devono essere ragioni particolarmente gravi. Se il premio Nobel per la Pace non vuole comprendere quali fattori abbiano scatenato questo esodo di massa, allora probabilmente soffre di un distacco dalla realtà.

L’organizzazione per i diritti umani ha anche accusato la Consigliera di Stato di non assumersi le proprie responsabilità per l’escalation della crisi dei Rohingya. Aung San Suu Kyi è stata il Premier de facto della Birmania per un anno e mezzo. In tutto questo tempo non ha fatto nulla per porre fine all’esclusione modello apartheid e alla discriminazione dei Rohingya e per promuovere la riconciliazione tra i buddisti e la minoranza musulmana.