Abbiamo aspettato due giorni per rispondere alle parole che l’assessora Laura Baldassarre ha detto a Porta a Porta, due giorni necessari per smaltire la rabbia e cercare di rimanere lucidi. Perché è difficile subire 20 sgomberi di un presidio umanitario in meno di un anno, vedere -oggi- più di 70 migranti dormire nelle tende sotto la pioggia scrosciante in un parcheggio abbandonato e rimanere calmi di fronte all’assessora che dice che “finalmente a Roma stiamo uscendo dalla logica dell’emergenza”.

Era sabato 9 luglio 2016, due giorni dopo l’insediamento ufficiale della giunta Raggi, quando fummo ricevuti dall’assessora Baldassarre, insieme a MEDU, nella sede del dipartimento alle politiche sociali, in via Manzoni.

In quel primo incontro, necessariamente preliminare, un punto basilare ci trovò tutti d’accordo: mai più sgomberi senza soluzioni alternative dignitose e condivise, come successo a Ponte Mammolo.

Sappiamo tutti quello che è successo poi, non solo i 20 sgomberi del presidio di Baobab Experience, ma tantissimi altri con l’apice raggiunto questa estate: le occupazioni abitative di via di Vannina, via di Quintavalle e via Curtatone.

In questi 14 mesi, non c’è stata mai una parola, mai un approccio critico dell’assessora rispetto a quello che è accaduto e accade nella città di cui lei amministra gli aspetti sociali. Su Rai 1 questo teatrino si è ripetuto per l’ennesima volta: la Baldassarre ha ripetuto il solito mantra delle iniziative prese dal suo ufficio, iniziative del tutto insufficienti come dimostra lo stato attuale in cui versa la Capitale.

NESSUNA PAROLA SULLA QUESTURA E SUL MAL FUNZIONAMENTO DELL’ ACCOGLIENZA

In uno degli incontri avvenuto al Dipartimento alle Politiche Sociali, portammo all’attenzione dell’assessora la necessità di intensificare i rapporti con l’ufficio immigrazione della questura di Roma, segnalandole i malfunzionamenti (la violazione del diritto d’asilo su tutti http://www.repubblica.it/…/baobab_la_questura_di_roma_vi_o…/) e chiedendole di monitorarne l’operato.

Ma anche su questo fronte, niente è stato fatto: abbiamo ricevuto solo alzate di spalle e parole sull’impossibilità di poter fare qualcosa a riguardo, come se essere assessore alle politiche sociali nella Capitale d’Italia equivalesse ad essere un funzionario qualsiasi e ricoprire un ruolo istituzionale e politico non preveda la possibilità e il dovere di denunciare il malfunzionamento di altri uffici

Allo stesso modo, nemmeno una parola si è levata per criticare il sistema di accoglienza italiano, che è la causa diretta le occupazioni abitative da parte dei migranti. Un assessore della giunta Capitolina, a nostro avviso, ha il dovere di portare al centro del dibattito pubblico le condizioni di permanenza dei rifugiati nel nostro paese. Il 77% di loro, infatti, viene ospitato nei Centri di Accoglienza Straordinaria (CAS) che, già dal nome, dovrebbero indicare lo stato di eccezionalità del loro utilizzo. Invece rappresentano la soluzione principale adottata dallo stato italiano, incapace di affrontare un fenomeno strutturale come quello delle migrazioni.

Molte volte, troppe, i CAS si rivelano essere dei veri e propri “parcheggi” dove i migranti vengono abbandonati a loro stessi, senza mediazione linguistica, senza assistenza legale che li aiuti a districarsi nella burocrazia e senza percorsi volti ad una reale inclusione sociale (scuola di italiano e inserimento lavorativo su tutti)

Così, chi riesce ad ottenere lo status di rifugiato, dopo 6 mesi viene letteralmente abbandonato a se stesso e, trovandosi in uno stato di necessità oggettiva, non ha altra scelta che quella di occupare per non stare in mezzo ad una strada.

La verità che l’assessora non dice è che i migranti che arrivano a Roma la prima volta, sono ancora accolti al presidio di Baobab Experience. Qui trovano l’assistenza da parte degli avvocati del team legale; l’aiuto dei medici volontari; pasti, vestiti, iniziative culturali e sportive, aiuto per l’inserimento lavorativo e corsi di lingua offerti dalla cittadinanza: trovano donne e uomini della città di Roma pronti ad aiutare, pronti a mettere in pratica un’idea diversa di accoglienza e convivenza.

Queste donne e questi uomini sono stati completamente ignorati dall’assessora e dalla sindaca, anzi, si è tentato per tantissime volte di mettere fine all’esperienza che hanno creato. E’ strano che questo venga perpetrato proprio da chi si è sempre auto-definito “un movimento dalla parte dei cittadini” dove “uno vale uno”.

NASCONDERSI DIETRO IL DITO DELLA SALA OPERATIVA SOCIALE

La Baldassarre continua a snocciolare i numeri freddi delle azioni messe in campo dal suo assessorato senza sottolineare come questi non siano sufficienti per garantire a tutte e a tutti un’accoglienza degna e un’alternativa alle occupazioni, continua a parlare di fragilità senza darne una definizione, continua a non dire che non esistono strutture in grado di ospitare un intero nucleo familiare (nelle case famiglia non sono ammessi i papà).

Soprattutto, la Baldassarre ripete ogni volta che può che il Comune è presente e monitora tutte le situazioni critiche in città grazie all’unità mobile della Sala Operativa Sociale. Questo vuol dire che per l’assessora è sufficiente mandare un’auto con due operatori (senza mediatore) per avere il polso della situazione e dichiarare terminato il compito del Comune.

Non è così che funziona e l’assessora dovrebbe saperlo. Non si può pensare che delle persone sgomberate, che in molti casi hanno subito soprusi dalla polizia, accettino subito una proposta alternativa su cui non c’è sicurezza né sulla durata né sulle condizioni della struttura.

Questo lo diciamo con cognizione di causa, lo diciamo perché abbiamo visto passare sotto i nostri occhi più di 70.000 migranti, di qualsiasi provenienza e con diverse storie personali: è fondamentale conoscersi e stabilire un rapporto di fiducia reciproca prima di poter pensare di imporre delle scelte di vita, prima di convincere un nucleo familiare a dividersi, mandando madre e figli in una casa famiglia e lasciando il padre in mezzo a una strada.

Perché questo è quello che è avvenuto dopo lo sgombero di Via di Vannina (http://www.romatoday.it/…/via-di-vannina-sgombero-migranti-…) e dopo quello di via Curtatone. Questo è anche quello che è avvenuto dopo il rogo della discarica a cielo aperto che circonda il palazzo di via Raffaele Costi, a Tor Cervara, dove vivono in condizioni drammatiche più di cento persone (https://ilmanifesto.it/…/lettera-aperta-alla-sindaca-di-ro…/)

Tutto questo evidenzia come, al di là di quello che dice Laura Baldassarre, Roma non è affatto uscita dall’emergenza. Roma c’è dentro con tutti i piedi proprio a causa dell’immobilismo del Campidoglio. Si parla di numeri che non possono spaventare una capitale europea, non possono mettere in crisi i servizi sociali di una città come Roma.

L’assessora deve decidere da che parte stare, senza ambiguità. Deve capire che se davvero vuole rappresentare qualcosa di nuovo, è necessario agire con coraggio e non con paura. Bisogna avere la volontà di affrontare la questione ricordando che lei ha la possibilità di prendere decisioni da cui dipendono le vite delle persone, di quelle più disperate.

Per sgomberare il palazzo di via Curtatone per riconsegnarlo ad un gruppo finanziario che fa speculazioni immobiliari, sono state mossi centinaia di agenti e mezzi speciali delle forze dell’ordine. Non è possibile accettare che le istituzioni non mettano lo stesso impegno per garantire i diritti fondamentali alle marginalità presenti nella nostra città: l’assessore alle politiche sociali ha il compito di fare ciò che questo accada e non ci sta riuscendo.

LA ROMA SOLIDALE C’E’, NONOSTANTE TUTTO

Infine, l’assessora Laura Baldassarre, farebbe cosa buona a rendersi conto che, nonostante tutti gli sgomberi, l’accanimento periodico delle forze dell’ordine e le condizioni precarie in cui opera, c’è una Roma solidale, sveglia e determinata che si fa trovare pronta ogni volta che ce n’è bisogno; che porta luce sulle persone che qualcuno vorrebbe rendere invisibili; che dona aiuti materiali, tempo, forze e umanità.

Perché si è deciso di tarpare loro le ali (senza riuscirci!) e lasciare che le questioni sociali in questa città diventassero solo questioni di ordine pubblico? E’ una questione di volontà, assessora e lei dovrebbe saperlo.

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