Essere una persona con disabilità in Burkina Faso pone enormi sfide a se stessi, alla società in cui si vive, al paese. Istituzioni, terzo settore, famiglie ci provano a costruire azioni inclusive, ma la vulnerabilità economica e i tabù culturali restano ancora barriere escludenti.

Il 13 dicembre del 2006 è stata adottata la Convenzione sui diritti delle persone con disabilità da parte dell’Assemblea Generale dell’ONU. Secondo quanto riportato dalle Nazioni Unite, con la Convenzione è stato sottolineato come la disabilità non sia nella persona stessa, ma il risultato dell’interazione fra il soggetto e l’ambiente in cui vive. Questa convenzione è stata firmata anche dal Burkina Faso e ratificata nel 2009. Nonostante l’accettazione formale dell’impegno a lavorare per i diritti delle persone con disabilità, gli enormi bisogni censiti restano largamente insoddisfatti, in particolare nelle zone rurali dove i numeri sono più preoccupanti e le opportunità più limitate.

I dati più recenti sono stati messi a disposizione dal Ministero dell’azione sociale e della solidarietà nazionale nel 2015 a partire da un’inchiesta nell’anno 2013-14 che ha prodotto un censimento nazionale sulle persone con disabilità da 0 a 18 anni. L’esperienza, prima nel suo genere non solo per il Burkina, ma anche per tutta la regione dell’Africa occidentale, ha voluto da un lato rispondere in modo pertinente alla richiesta internazionale di proteggere l’infanzia e dall’altro prendere parte al processo di sviluppo inclusivo a livello globale.

Il risultato è stato l’ottenimento di un complesso di dati quantitativi e qualitativi sulla situazione di bambini e giovani in situazione di disabilità, nonché delle loro famiglie, a disposizione del processo di presa di decisione e di scelta di strategie di intervento. Avere dati socio-culturali attendibili è un elemento essenziale per potersi far carico dei problemi in modo pertinente e programmare soluzioni adeguate alle persone e ai contesti. Ecco perché dunque questa inchiesta ha un valore particolare.

Se da un lato quindi sembra che il Burkina si sia messo in cammino, dall’altro si nota come l’attenzione, le politiche, le azioni siano concentrate sulla fascia giovanile lasciando il mondo della disabilità degli adulti in una sorta di buco nero, poco conosciuto, anche poco attraente dal punto di vista degli investimenti delle organizzazioni non governative e del governo stesso. Varie fonti riportano un dato complessivo inclusivo di tutte le fasce di popolazione di circa 168.094 persone con disabilità, 85,5% dei quali senza un livello di istruzione (fonte: Recensement général de la population et de l’habitation del 2006, pubblicato nel 2008).

Ma sono le cifre dell’inchiesta 2013-14 ad essere più precise ed aggiornate per la fascia di popolazione giovanile. Riportano una presenza di 79.617 minori 0-18 anni (su un totale di quasi 11 milioni di giovani 0-18; fonte: Annuario statistico nazionale 2015) di cui 48.126 maschi e 31.491 femmine con disabilità di gradi differenti. Il 18% di questi giovani vive in città, l’82% in zone rurali.

Alle questioni legate alla discriminazione, all’esclusione, talvolta al sopruso e alla violenza non solo verbale ma anche fisica, si aggiungono i bassi tassi di scolarizzazione. Si stima che tra i giovani con disabilità il 53% dei maschi e il 52,4% delle femmine sia scolarizzato. I livelli sono di gran lunga inferiori a quelli a livello nazionale: nel 2013 il tasso di scolarizzazione aveva raggiungo l’83%.

Di educazione inclusiva intesa come possibilità di accedere a forme di istruzione ed educazione formali ed informali in cui nessun bambino o bambina sia escluso si inizia a parlare anche in Burkina Faso. Includere significa dare opportunità a ciascuno, sulla base della propria unicità e differenza, di accedere alle cure sanitarie, all’istruzione, alla formazione e al mondo del lavoro, ecc.

Secondo uno studio promosso dall’UNICEF nel 2013 nell’ottica dell’educazione per tutti, il contesto socio-economico e politico-amministrativo del Burkina Faso non era ancora favorevole per uno sviluppo permanente dei fattori dell’educazione inclusiva.

Molti bambini e bambine con disabilità vivono lontani da ogni processo di inclusione scolastica, all’interno di contesti che ostacolano ogni possibilità di futuro. Lo Stato dovrebbe avere tutto l’interesse a costruire una cultura aperta all’inclusione educativa e scolastica attraverso il Programma per lo sviluppo strategico dell’eduzione di base (2012-2021). Il Ministero dell’educazione nazionale e dell’alfabetizzazione, i servizi tecnici e le direzioni centrali (servizio per la promozione dell’educazione inclusiva e direzione dello sviluppo dell’insegnamento di base) hanno il compito di avanzare con forza i loro buoni propositi al fine che lo stato li recepisca come principi vincolanti per una scuola e una società inclusive.

Tra le disabilità, quella legata alla mobilità è dominante, seguita da quelle sensoriali, visiva, uditiva e del linguaggio. Se la difficoltà di movimento è una delle principali sfide, diventa ancora più significativa una riflessione su mezzi e infrastrutture attraverso i quali spostarsi. Si tratta delle strade le quali, fatta eccezione per le principali arterie delle città, sono tutte di terra battuta, sia in zona urbane e rurale, che diventa fango durante la stagione delle piogge; la loro morfologia si disegna attorno a profonde buche e regolare dissesto del manto. Si tratta anche degli accessi agli edifici, delle eventuali facilitazioni per salire ai piani superiori, delle cosiddette barriere che le architetture pongono quando non vengono pensate in ottica inclusiva. Si tratta di tutti quei mezzi, automobili, motorini, biciclette ad uso privato o individuale che, adeguatamente predisposti, potrebbero facilitare la vita di persone con ridotte capacità di movimento, ma anche dei mezzi pubblici e collettivi che, quando presenti, raramente presentano caratteristiche idonee al trasporto di persone con disabilità.

Inoltre, il censimento pubblicato nel 2015 mette in rilievo il fatto che meno della metà dei giovani con disabilità benefici di aiuti provenienti dalla comunità del vicinato, da organizzazioni e strutture religiose. Da ciò si evince che due minori su tre restino senza appoggi, fatta eccezione per gli sforzi dei genitori o delle famiglie più prossime. Maledizione divina, fallimento, peso per le società sono stigma che gravano sulle possibilità di avere un diritto al futuro. Nonostante le pesantezze del sistema culturale che tendono ad avere effetti nefasti sulla vita delle persone con disabilità e sulle loro famiglie, per qualcuno la disabilità è diventata volano di emancipazione personale e sociale. Ciò significa poter accedere all’istruzione, alla formazione professionale, al mercato del lavoro. C’è chi è riuscito a fare della propria fragilità una fonte di crescita e una risorsa per la comunità.

Sara Bin