Succedono cose, in giro per l’Europa, che fanno pensare che l’Europa stessa sia solamente una pessima recita.
Lo scorso 15 febbraio Germania, Repubblica Ceca e Romania hanno annunciato, decisamente in sordina, l’avvio di un programma di radicale integrazione militare.
Come riporta Foreign Policy (http://foreignpolicy.com/2017/05/22/germany-is-quietly-building-a-european-army-under-its-command/), l’81^ Brigata meccanizzata romena e la 4^ Brigata di fanteria ceca (già dispiegate in Kosovo, Afghanistan, Iraq e Bosnia Erzegovina) entreranno a far parte di due grandi unità tedesche: la 10^ Divisione corazzata e la Divisione di Reazione Rapida.
Nel fare ciò romeni e cechi seguono l’esperienza di due brigate di fanteria olandesi che si sono già incorporate rispettivamente nella Divisione di Reazione Rapida e nella 1^ Divisione corazzata, sempre tedesche.
Ovviamente il comando di questa nuova sub-alleanza spetterà alla Germania e la lingua che si utilizzerà non sarà il tedesco bensì l’inglese.
Non a caso, visto che l’annuncio di questa operazione è stato fatto dai ministri della difesa dei tre paesi con la presenza di Camille Grand, Assistente alla Segreteria Generale per gli investimenti della difesa della Nato.
La Germania non ha intrapreso un’iniziativa unilaterale ma ha sviluppato il Framework Nations Concept della Nato che prevede appunto che piccoli eserciti possano integrarsi in sub-alleanze coordinate, funzionali ed organiche allo stesso Patto atlantico.
Questa è una vera notizia anche se per nulla considerata dal mainstream mediatico. Diverse e importanti infatti sono le considerazioni che discendono da questa operazione.
Considerato il fatto che il comando della Nato è da sempre gestito dai vertici militari statunitensi (con un secondo anello occupato dal Regno Unito), le roboanti dichiarazioni post G7 di Taormina della Merkel e dei socialdemocratici tedeschi contro l’amministrazione Usa appaiono del tutto di facciata. Una pessima recita appunto.
Il Framework Nations Concept si configura come un formidabile ostacolo tecnico-operativo alla nascita di un esercito europeo (a cui non crede nessuno, in realtà) perché crea di fatto un contesto dove le medie potenze militari vengono sollecitate ad assorbire/coordinare intorno a se i piccoli eserciti delle proprie aree di influenza in un rapporto bilaterale con la Nato.
La Germania ha colto la palla al balzo: disporre di alcune migliaia di soldati già professionalizzati; compensare la propria capacità di combattimento attraverso il conveniente sharing militare, aumentare il proprio peso in seno alla Nato attraverso una rincorsa ai pesi massimi nucleari del proprio quadrante (Francia e Regno Unito).
L’espansione militare tedesca, intesa come espressione di protagonismo in seno Nato/Ue, viene del resto dichiarata esplicitamente nel nuovo Libro bianco della difesa reso pubblico lo scorso anno dove emerge l’intenzione di operare un aumento del bilancio, del personale e della capacità operativa delle Forze armate. In linea con questi obiettivi la spesa militare è aumentata del 4,2% l’anno scorso e del 8% quest’anno.
La declinazione tedesca del Framework Nations concept serve anche a dimostrare ai pacifisti (che hanno da tempo ridotto il loro orizzonte politico alla richiesta di un contenimento/riduzione delle spese militari) che aumentare la capacità operativa di proiezione e combattimento, stare nella Nato e spendere molto meno del 2% del Pil è possibile.
Razionalizzazione, condivisione, hi-tech e professionalizzazione sono dunque le chiavi di volta del perdurante espansionismo militare europeo/atlantico e della corsa agli armamenti di cui l’occidente è il capofila industriale.

Gregorio Piccin

L’articolo originale può essere letto qui