A fine giugno esce il terzo numero del periodico su La tortura del 41 bis. Ha come data precisa quella del 26 giugno, che è il giorno in cui l’ONU ricorda le vittime della tortura. Quindi sono ricordati i 720 detenuti sottoposti al regime del 41 bis a cui è dedicata questa giornata, e i condannati all’ergastolo, che non hanno una speranza nel futuro. Un gruppo di noi, provenienti da varie regioni d’Italia, anche quest’anno saranno a Ventotene e all’ergastolo di Santo Stefano per portare un fiore al cimitero degli ergastolani e avremo nel nostro cuore tutti i torturati nelle carceri d’Italia e del mondo; saremo lì sabato 8 luglio.

Di seguito presentiamo alcune testimonianze che provengono dall’esterno delle carceri. Vi ringraziamo molto. Poi trascriviamo alcune lettere che ci arrivano dalle carceri: da Tolmezzo e da Spoleto al 41 bis, da due donne che ci hanno scritto dal femminile di Reggio Calabria, dove si trovano per il processo d’appello, una madre che ci parla del suo primo colloquio con suo figlio segregato in 41 bis, e da una figlia che ci fa conoscere un episodio subito dai suoi genitori. Poi un giovane che sta scontando la sua pena a Benevento ci parla di suo fratello che invece si trova nel 41 bis a Rebibbia N.C..

Sappiamo con certezza che molte lettere che ci vengono inviate sono bloccate dagli uffici censura, dai direttori, direttrici e da alcuni magistrati di sorveglianza. Questo ci dispiace, ma ne prendiamo atto. È una lotta pacifica tra persone che pensano, sentono, agiscono diversamente. Semplificando: da una parte stiamo noi che vogliamo creare nuovi spazi di dibattito, di dialogo, opportunità di studio, di reciproca conoscenza, di informazione all’esterno. Dall’altra si muovono dirigenti del Dipartimento Amministrazione Penitenziaria, direttori delle carceri, uffici censura… che vogliono, attraverso circolari sempre più restrittive, attraverso nuove strutture come il bunker sotterraneo di Bancali – Sassari, attraverso la chiusura di quei pochi spazi che la legge ancora consente a questi detenuti e a queste detenute di comunicare i loro sentimenti e pensieri, portano avanti un’opera di distruzione fisica e psichica in queste sezioni speciali.

Fra gli esterni, molti pensano che non si debba parlare di diritti nei confronti di questi detenuti, non si debba cedere ad atti di carità e di solidarietà (è molto interessante il dibattito scaturito sullo stato di salute di Totò Riina), anche se fra coloro che hanno incarichi di amministratori della “giustizia”, non tutti si muovono con ottusità e con l’applicazione della legge del taglione, della pena di morte, degli ergastoli e del 41 bis.

L’Associazione Liberarsi e numerosi altri soggetti proseguiranno nel tentativo di chiedere di far rispettare gli spazi che la nostra Costituzione, il nostro ordinamento penitenziario, indicano. È lecito questo? È possibile? Certamente non è né scontato né facile!

Giuliano Capecchi – Associazione Liberarsi

PS. Ci è venuta un’idea, in parte sollecitata da alcune lettere ricevute dal 41 bis, in parte vedendo le difficoltà che sempre maggiori emergono nel comunicare tra noi esterni e voi reclusi. Perché non stimolare la ripresa degli studi finalizzata al prendere un diploma o una laurea universitaria, ma anche più semplicemente a migliorare la nostra/vostra capacità di scrivere, di leggere, di pensare.? Forse alcuni dei nostri amici detenuti pur essendo nati in Sicilia non conoscono le novelle del Verga, i testi di Pirandello o di Sciascia o di Camilleri …, o se Sardi non hanno ancora incontrato pagine della Deledda o di Michela Murgia… Noi ve li faremo avere in fotocopia. E vi chiederemo le vostre riflessioni. Per non parlare di poesie…, ma anche di saggi sull’agricoltura biologica (sappiamo che alcuni di voi vorrebbero approfondire le tematiche legate alla terra, agli animali, all’ambiente) o sulla grande arte. Noi metteremo a disposizione alcune ore del nostro tempo e cercheremo di riempire il vostro.
Scrivete a: Associazione Liberarsi c/o Centro Sociale Evangelico, via Manzoni, 21 – 50121 Firenze. E-mail: associazioneliberarsi@gmail.com 

Lettere da fuori

Carissimo zio Giuliano,
queste lettere che credo pubblichi periodicamente, non ti nascondo che è stato molto emozionante leggerle, in esse sono elencati tutti i problemi e le restrizioni che vivono mio padre e la mia famiglia da ormai un bel po’ di tempo. Leggendo le varie lettere ho provato ad immaginare i volti, l’aspetto fisico delle persone che scrivevano, per sentirle più vicine, è triste leggere tutte queste storie di dolori e soprusi. Non posso nemmeno immaginare come mi sentirei al posto di Sandro a cui è stato tolto l’unica possibilità di sentire suo padre, un padre che tra l’altro, vista la loro situazione, quasi sicuramente non riuscirà mai più a vedere, pensando a ciò mi viene un nodo alla gola, penso sia una delle peggiori ingiustizie che si possano subire. Ho letto con molta vicinanza anche il racconto di Nicola, so molto bene quello che passa, io qui in residenza a Milano condivido il bagno con un ragazzo non vedente di cui sono diventato molto amico, so benissimo quanto sia dura la vita per un non vedente, tutte le azioni quotidiane, anche le più semplici nascondono delle difficoltà e delle insidie per loro e se a ciò aggiungiamo il regime di 41 bis, la situazione si commenta da sola. Mi sono rispecchiato in particolar modo nelle parole di Rita, del resto la sua esperienza del colloquio è molto simile alla mia. Infine, leggendo le parole di Francesco che al colloquio ha potuto abbracciare la propria bimba di 7 anni (sono veramente molto contento per lui) ricordo con un po’ di malinconia quando per i primi due anni di reclusione di mio padre anche mia sorella poteva passare dall’altro lato del vetro e stare per dieci minuti insieme a lui, poi ha compiuto 12 anni e non è stato più possibile. Io, purtroppo questa “fortuna” non l’ho avuta perché quando hanno arrestato mio padre avevo già 13 anni. Ripensandoci sono quasi passati ben 9 anni dall’ultima volta in cui ho potuto abbracciarlo e Dio solo sa se potrò farlo di nuovo un giorno. Comunque, lasciamo un po’ da parte questi pensieri tristi, mi congratulo per questa tua nuova iniziativa, è un modo ulteriore per riuscire a smuovere le coscienze delle persone che leggono come si vive veramente in certe situazioni. Purtroppo la strada per far sorgere questa sensibilità nelle “persone normali” è ancora lunga e in salita, me ne sono reso conto in quest’ultimo periodo leggendo i commenti di molti “amici” su Facebook e di molti opinionisti e politici fatti sull’ipotesi, a mio avviso irrealistica, della possibile scarcerazione di Totò Riina per i suoi problemi di salute. Capisco che questo è un caso, se vogliamo, eclatante però mi ha permesso di capire che la civiltà in cui viviamo non è evoluta come sembra, si fa veramente tanta fatica a distinguere la giustizia e i diritti inviolabili degli uomini con il concetto di vendetta. È come se certi errori una volta commessi ti facciano perdere lo status di essere umano e a quel punto per la società non hai più diritto ad una morte dignitosa perché tu stesso non hai concesso una morte dignitosa alle persone che hai ucciso, è un po’ come la legge del taglione. Tutto ciò mi sembra veramente paradossale, soprattutto in uno stato di Diritto, quale dovrebbe essere il nostro. Spero di ricevere presto tue notizie. Un affettuosissimo abbraccio,            

Nunzio

Sono convinta che la sensibilizzazione verso queste forme di tortura vada perseguita sempre e comunque, sebbene il contesto politico del nostro paese non sia al momento favorevole per sollevare una questione di tale portata – penso a ciò che ha fatto maturare le decisioni in materia da tutte le parti politiche senza nessuna distinzione. Sarà una lunga battaglia di civiltà, ma è doveroso sollevare il velo di omertà che è calato su queste scelte insensate e anche criminali che provocano inutili sofferenze a così tante persone. Un caro saluto

Tiziana

Lettere da dentro

Dal carcere di Tolmezzo, 14 maggio 2017 (visto di censura 23 maggio 2O17)
 
Carissimi amici, carissimo Giuliano,
…io in attesa una volta al mese mando una istanza al DAP per informare e chiedere che tutti i sottoposti al 41 bis abbiano le stesse possibilità e gli stessi diritti. Per esempio pare che sia Tolmezzo l’unico carcere in cui si vieta lo scambio di cibo tra i compagni di socialità (su questo è stata investita anche la Cassazione), poi ci sono generi che si possono acquistare ed altri no a seconda  della sezione 41 bis in cui ti trovi, il campo sportivo che non viene fatto utilizzare (si aspetta fissazione udienza…), etc.  Ma la cosa più clamorosa è quella che i nipotini da fratello vengono considerati (anche dalla magistratura di sorveglianza) più pericolosi di quelli da figlio, posto che vi è l’assoluto divieto di colloquio senza vetro per la durata di 1/6 del tempo.  Altro esempio è il diritto allo studio. A Sassari è possibile utilizzare il computer a uso studio e difesa per 4 ore al giorno, oltre all’ora prevista di socialità, qui o vai in socialità con i compagni o utilizzi il computer. Non solo, ma è anche impossibile accedere alla biblioteca centrale per motivi di sicurezza e tutti i reclami vengono dichiarati sistematicamente inammissibili, anche quelli che hanno avuto esito positivo in altri uffici di sorveglianza (esempi: accesso a biblioteca centrale, avere la propria radiolina sintonizzata sulle stazioni rai, poter passare un libro al compagno di gruppo, utilizzare computer quattro ore al giorno, ricevere missive tramite pacco postale, passaggi di generi alimentari col gruppo di socialità…).

Non solo, nonostante ciò che ha deciso la Cassazione con sentenza n. 1253/2014 del 23/4/14 r.g. n. 34980/2013 e il magistrato di sorveglianza di Cuneo con ord. n.1282/14 del 25/9/2014, che mi hanno dato ragione circa il denudamento quando s’incontra il proprio difensore, che non poteva essere effettuato, qui a Tolmezzo il magistrato di sorveglianza è di parere contrario e quindi siamo obbligati a denudarci quando si incontra l’avvocato. La dott.ssa Rita Bernardini, intervenuta al convegno di Ristretti Orizzonti del gennaio 2017, ha citato il capo del DAP che si è pronunciato contro il 41 bis e le sue inutili restrizioni (vedi Ristretti Orizzonti, anno 19, n.1), ma ancora tali inutili restrizioni (come il divieto di cucinare la pasta, scambiarsi oggetti, non poter ascoltare la musica se non quella trasmessa dalle stazioni statali, in stile dittatura) permangono. Basterebbe una semplice circolare. Dunque al momento ciò rimane un fumus di chiacchiere.

Sappiate, comunque, che è difficilissimo comunicare con voi, poiché viene tutto strumentalizzato ed enfatizzato. Complimentoni per il successo del convegno a Firenze dell’8 aprile dal titolo “25 anni di tortura del 41 bis,” per le persone che sono intervenute e per tutti quelli che come voi lottano per i diritti dei detenuti, per umanizzare le sezioni 41 bis e addirittura tentare di abolirle… Mi farebbe piacere avere gli indirizzi delle avvocatesse Caterina Calia e Carla Serra che ho visto sono intervenute al convegno. Vi sono moltissime cose che vorrei raccontarvi, ma tanto questa lettera verrà sicuramente trattenuta, perché vi è la prassi che del 41 bis non si debba parlare. Vi abbraccio con la speranza che possa sentirvi al più presto, che Dio ce la mandi buona!

Giuseppe Guarino

Dal carcere di Spoleto sezione a 41 bis, 6 novembre 2016 (visto di censura 28 dicembre 2016)

Sono uno degli ospiti del 41 bis a Spoleto. Ho letto la vostra lettera e vi ringrazio per tutto quello che fate per le persone che non hanno voce, specialmente in questo regime. Mi presento. Mi chiamo Luigi Papale, mi trovo qui da circa tre anni…. Oltre a me si trovano in carcere mia moglie, le mie figlie e mio figlio, cioè tutta la mia famiglia … Per circa 8 mesi mi hanno fatto telefonare a mia moglie. All’improvviso mi hanno comunicato che la telefonata mi è stata revocata in quanto la D.D.A di Napoli non vuole che io telefoni a mia moglie. Senza dare nessun motivo. I dieci minuti delle telefonate erano l’unico momento in cui potevo esprimere il mio affetto. Qui a Spoleto ci sono molti detenuti che si trovano nelle mie stesse condizioni e telefonano. Dicono su di me che c’è una circolare del DAP che dice che detenuti e detenute non possono telefonarsi. Ma questa circolare perché vale solo per me? Ho fatto ricorso al giudice di sorveglianza e aspetto da mesi una sua risposta. Io dico: i 10 minuti di telefonata sono registrati e ascoltati, che può succedere? Scrivere posso scrivere, quello che dico per lettera perché non posso dirlo al telefono? Forse non vogliono farmi sentire la voce di mia moglie? Vorrei un consiglio da voi. A chi devo rivolgermi? Ripeto questo è l’unico affetto che ho, 10 minuti al mese. … E queste non sono torture psicologiche? … Vi ringrazio per tutto quello che fate per noi

Luigi Papale

Dal carcere di Benevento

(…) Voglio inviarti i miei saluti e un ringraziamento per quello che fate… Devi sapere che ho mio fratello al 41 bis da 10 anni e ha visto crescere il figlio attraverso un vetro blindato, con solo 10 minuti per prenderlo in braccio. È una disumanità assoluta. Ogni 4 anni lui fa una richiesta perché gli tolgano il 41 bis, ma puntualmente glielo confermano, mandandogli la stessa copia con le stesse risposte. Allora mi domando: a cosa serve parlare di carcere e di reinserimento? …Mi farebbe piacere se scriveste anche a mio fratello, così avrà la vostra corrispondenza e la vostra compagnia.

Egidio

Dal carcere di Reggio Calabria, sezione femminile, 17 maggio 2017

Sono stata trasferita in questo carcere per motivi processuali. Ho ricevuto il vostro materiale e vi mando una mia testimonianza del colloquio avuto con mio figlio Francesco nella sezione a 41 bis di Spoleto. Era il 22 aprile del 2013 e io allora ero libera e andai con i miei due nipotini. Il 22 aprile 2013, alle sei del mattino ero a Spoleto per fare il primo colloquio con mio figlio. Portai con me i suoi due figli Carlo e Nino, due gemelli di appena 6 anni. L’attesa fu snervante; dopo una minuziosa perquisizione ci fecero entrare in una piccola saletta per il colloquio. L’impatto è stato devastante per me e i bambini. C’erano un tavolino, degli sgabelli, un grosso vetro, dietro quel vetro vidi mio figlio. Non lo vedevo da mesi e come madre il mio primo desiderio era quello di poterlo abbracciare forte forte, che strazio! Ammutolita mi aggrappai a quel vetro, grosse lacrime inondavano il mio viso. Mio figlio era lì, davanti a me e non potevo abbracciarlo, baciarlo, avevo tanto bisogno di stringerlo forte e fargli sentire come batteva il mio cuore, avevo tanto bisogno di trasmettergli le mie emozioni. Mio figlio mi guardava, non diceva nulla, non volevo farmi vedere piangere da lui, ma non ho potuto fare nulla per trattenere le lacrime, scorrevano da sole, irrefrenabili. Questa sofferenza non ebbe fine, dopo poco i bambini salirono  sul tavolino e si aggrapparono a quel vetro nella disperata ricerca di un abbraccio, di un bacio da parte del loro padre che immobile e senza parole guardava i suoi piccoli.  I bambini nella loro ingenuità chiesero spiegazioni al loro papà, perché non potevano saltargli addosso come avevano fatto nei colloqui precedenti. Il loro papà esitò un attimo per trovare una risposta da dare alle proprie creature, una menzogna, con grande difficoltà e balbettando disse che stava lavorando e il datore di lavoro distrattamente lo aveva rinchiuso in quell’abitacolo. I bambini trovano sempre una soluzione, si guardarono intorno e chiesero un martello per abbattere quel vetro che li separava dal loro papà. Io li guardavo con grande tristezza, non potevo fare nulla, anche le guardie presenti al colloquio si intenerirono davanti ai bambini. Fu solo un attimo, poi ripresero l’espressione di sempre, i sentimenti in questo ambiente hanno poco valore, la legge va rispettata. Può una legge far soffrire degli innocenti? Come si può essere insensibili davanti al dolore, alla disperazione dei piccoli? È questa la legge italiana? Non dovrebbe tutelare i bambini? Quel giorno mi posi queste domande, ma non trovai una risposta. Mentre facevo queste riflessioni Nino, uno dei miei nipoti, con grande tristezza disse una frase che ancora oggi mi logora il cervello: “Vorrei essere una formica piccola, piccola e passare attraverso le fessure per poter abbracciare il mio papà!” . L’ispettore presente non disse nulla, guardò dall’altra parte, era commosso. Purtroppo al 41 bis queste scene si verificano quotidianamente. Bisogna che lo Stato intervenga, che i politici facciano qualcosa per porre fine alla violenza psicologica che subiscono tanti bambini, le lacrime dei piccoli, la loro sofferenza deve scuotere la coscienza di coloro che si ritengono i rappresentanti della giustizia. Voglio sperare che tutti coloro che lottano per porre fine a questi soprusi vincano questa battaglia, il cuore deve guidare le azioni e non lasciarsi condizionare dalla fredda ragione. Ho voluto raccontare questo episodio di cui sono stata testimone. In seguito non mi è stato possibile andare a trovare mio figlio in quanto sono stata arrestata, molti abusi ho subito anch’io, sono in carcere perché il pregiudizio ha il sopravvento e a Reggio con tanta facilità si mandano in carcere le donne, perché essere madri o mogli in una famiglia che ha problemi con la giustizia è un grosso reato e bisogna pagare per colpe che non si hanno. Continuate, non arrendetevi, non premettete che venga calpestata la dignità delle persone, date una speranza a chi subisce in silenzio, siate portavoce di tutti coloro che soffrono.

Con stima e affetto Carmela Nava

Dal carcere Reggio Calabria, sezione femminile, 17 maggio 2017

Mi chiamo Giuseppina Franco, attualmente sono nel carcere di Reggio Calabria per il processo di appello in corso. Sono in cella con Carmela Nava che mi ha parlato delle vostre iniziative…

Molti sono gli episodi di cui sono a conoscenza perché mio padre Franco dal 2000 al 2007 è stato al 41 bis nella Casa di Reclusione di  Cuneo. Ci tengo a raccontare un episodio che ha lasciato in me e nei miei familiari tanta amarezza e la consapevolezza di non poter fare nulla di fronte a tali abusi, di essere impotenti e di non aver nessuno che tuteli i diritti dei detenuti. … Mio padre nel 2007 è stato ricoverato nell’ospedale di Cuneo perché gli doveva essere esportato un rene colpito da tumore, un intervento rischioso. La mia famiglia è stata avvisata delle gravi condizioni di mio padre. Mia madre partì da Reggio pur tra mille problemi e tante difficoltà, nella speranza di vedere mio padre e di stargli accanto in quei momenti così incerti per la sua vita. Vana illusione! Mia madre chiedeva notizie di mio padre ma le sue richieste infastidivano gli agenti che speravano che mia madre si allontanasse. Per giorni ella è rimasta dietro la porta della sala di rianimazione, senza mai poterlo vedere.  Mio padre era intubato, un agente della scorta fumava tranquillamente, un suo collega della scorta gli fece notare che quello non era il luogo adatto, ma con sarcasmo quello gli rispose: “tanto sta per morire!” Quanta aridità e quanta cattiveria! Perché si permette a queste persone di svolgere questo lavoro? Hanno un cuore? Mio padre ha sentito quelle parole così sferzanti, quanto male al cuore! Dopo poco tempo, quando mio padre si è ripreso ci ha raccontato questo episodio. Io non voglio commentare, lo lascio fare a voi, traete le giuste conclusioni…

Giuseppina Franco