Sono trascorsi 39 anni dall’omicidio di Peppino Impastato. Che cosa ci è rimasto? Che cosa ci ha insegnato? Che cosa abbiamo fatto per fare attuare quel “Peppino è vivo e lotta insieme a noi” scandito dai suoi compagni?
Peppino aveva molte qualità: intelligente, generoso, curioso, creativo, innovativo.  Peppino era un giornalista vero, presente direttamente dentro i fatti: per scrivere un resoconto della marcia della protesta e della speranza organizzata da Danilo Dolci ha camminato per sei giorni.

Peppino sapeva cogliere il cuore dei problemi: la mafia faceva affari con la politica, con gli appalti, con l’edilizia, con le cave, con i rifiuti, con la droga, con le armi, con il turismo, ecc. Nelle mostra itinerante preparata da Peppino e dai suoi amici c’era tutto questo. Peppino sapeva comunicare, con la musica, con la cultura, con la radio. Non utilizzava la retorica, ma l’ironia che svela la menzogna e l’ingiustizia.

Peppino è sempre stato dalla parte dei più deboli: i contadini delle terre espropriate, i manovali precari dell’edilizia e i braccianti che lavoravano in nero. Peppino aveva anticipato i tempi. Era ambientalista prima degli ecologisti e antimafioso prima del movimento antimafia.

Soprattutto Peppino ci ha indicato una strada da seguire: impegnarsi là dove si vive. Non basta parlare della mafia o della corruzione in generale. Bisogna mettere il dito nella piaga della propria famiglia, del proprio contesto, del proprio paese, dentro l’economia e la politica del proprio territorio. E’ giusto sfilare in corteo il 21 marzo e ricordare tutte le vittime innocenti delle mafie, ma sappiamo tutti che non è sufficiente, che dobbiamo fare di più.
Occorre informarsi con precisione, documentarsi seriamente su ciò che le mafie fanno quotidianamente là dove ogni giorno studiamo, lavoriamo, viviamo. Bisogna diventare sentinelle del territorio, capaci di guardare dentro la realtà che ci circonda.

Le inchieste dei giornalisti attenti, la storia dei beni sequestrati e confiscati, le indagini e i provvedimenti della magistratura sono tracce da seguire. Spesso è sufficiente mettere in fila gli eventi, perché si componga un quadro, che ci mostra la trama criminale. Predisporre una cartina geografica in cui sono evidenziati i fatti accaduti, può spiegare molto della colonizzazione di un territorio.

Tutto questo non si può fare da soli, ma organizzando reti, presidi, osservatori e banche dati.
Perché la memoria di Peppino sia vera, dobbiamo impegnarci nella Cinisi di ciascuno di noi. Se riusciremo a fare questo, allora potremo dire che “le sue idee camminano con le nostre gambe”. Del corpo di Peppino hanno fatto scempio, ma il suo esempio è rimasto integro: a noi il compito di continuare a renderlo presente, che in fondo è il modo più umano di farne memoria.