Il ballottaggio del 2 aprile per sancire chi sarà il nuovo presidente dell’Ecuador si è concluso con una buona ed una cattiva notizia. L’aspetto senz’altro positivo è che Lenín Moreno sostituirà Rafael Correa a Palacio de Carondelet, ma quello negativo riguarda il numero dei voti conquistati dall’esponente di Alianza País. A spoglio delle schede quasi ultimato, Moreno ha ottenuto il 51,15% dei consensi contro il 48,85% di Guillermo Lasso, il banchiere sostenuto dalle destre, per l’occasione unite. Lo scarto minimo tra i due candidati è ciò che si augurava l’oligarchia per poter gridare alla frode e trasformare la presidenza di Moreno in un vero e proprio Vietnam. Lasso, che già in campagna elettorale aveva dichiarato che non avrebbe riconosciuto il risultato delle urne in caso di affermazione risicata da parte di Moreno, ha subito minacciato di presentare ricorso. Il rischio che l’Ecuador si trasformi in un nuovo Venezuela, purtroppo, è assai concreto.Definito il baluardo dell’America latina progressista in uno scenario continentale caratterizzato da tentativi di colpi di stato andati in porto (l’ultimo dei quali in Brasile) ed altri per il momento solo sfiorati (il Venezuela, dove tra i principali registi figura il segretario dell’Organizzazione degli stati americani Luis Almagro, al quale lo stesso Lasso ha chiesto prontamente aiuto), l’Ecuador ha resistito, ma nonostante la maggioranza conquistata da Alianza País in Parlamento, il percorso di Lenín Moreno non si preannuncia facile, dopo che al primo turno, aveva mancato l’elezione per soli 66mila voti. La destra, da parte sua, dopo aver definito il 2 aprile come la madre di tutte le battaglie, ha cercato di fare azione di lobbying in tutta la società ecuadoriana, servendosi di autisti di autobus e taxi che facessero campagna per Guillermo Lasso nei confronti dei passeggeri, spargendo la voce che con Moreno le tasse sarebbero cresciute a dismisura e minacciando possibili licenziamenti per chi, nelle banche, nei negozi e nelle piccole imprese avesse votato per Lenín Moreno. Istruzione, lavoro, sanità e sovranità latinoamericana, i settori dove maggiori erano stati i progressi dell’Ecuador sotto Rafael Correa, e su cui aveva insistito anche Lenín Moreno nel corso della sua campagna elettorale, sono stati presto rimpiazzati dalle parole d’ordine propagandate dall’imprenditoria allo scopo di sostenere la destra. Tutto ciò, con il sostegno mediatico offerto dalla maggior parte della stampa. Lasso è riuscito anche a ribaltare il grande successo ottenuto nel referendum contro i paradisi fiscali, dove la maggioranza degli ecuadoriani si era rifiutata di votare secondo i dettami dell’avversario di Lenín Moreno, poiché il candidato della destra ha insistito molto sul rischio che l’Ecuador fosse governato da una dittatura dedita solo all’arricchimento personale, quando in realtà è lui ad essere proprietario di 49 imprese off-shore tra le Isole Cayman e Panama. A questo proposito, solo pochi giorni prima del ballottaggio, era emerso che Lasso risultava proprietario di una serie di lotti immobiliari acquistati in Florida alla metà del loro valore prima dell’esplosione della bolla finanziaria.

Nonostante la campagna di Lenín Moreno si fosse svolta all’insegna della trasparenza, con il sostegno di buona parte dei movimenti popolari, e nel paese ci fosse la consapevolezza che al secondo turno sarebbe riuscito a vincere, il ministro degli Esteri Guillaume Long aveva avvisato sui rischi che correva il paese, sottolineando che l’Ecuador si potesse trasformare in una nuova trincea, come il Venezuela. Lo stesso Kintto Lucas, scrittore, giornalista ed intellettuale che nel 2006, in occasione della prima elezione di Correa, aveva appoggiato il candidato indigeno Luis Macas e, in seguito, critico verso le modalità con cui l’ex presidente ha gestito i rapporti con le organizzazioni indigene, aveva dichiarato senza alcuna riserva il suo voto per Lenín Moreno, proprio perché consapevole che quest’ultimo rappresentava un’opzione democratica, contrariamente a Lasso. Se Moreno riuscirà a governare schivando le imboscate della destra, potrà proseguire sulla strada del cosiddetto “decennio di progresso” intrapreso da Rafael Correa, dal buen vivir, pur con tutte le contraddizioni del caso, all’alto livello di sviluppo che ha permesso all’Ecuador di raggiungere la maggior parte degli Obiettivi di sviluppo del millennio (Odm), per non dimenticare la stabilità politica di un paese che tra il 1996 al 2006, nei dieci anni precedenti al correismo, aveva avuto alla guida ben sette presidenti.

Sostenitore dell’integrazionismo latinoamericano e del socialismo del buen vivir, Moreno dovrà governare cercando di tutelare e, se possibile, far avanzare, le conquiste popolari raggiunte finora. Il suo nemico non sarà solo Guillermo Lasso, ma tutte le destre continentali che, ancora una volta, cercano la spallata nei confronti di un presidente eletto democraticamente e alfiere dell’America latina progressista.

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