Una cena con amici o parenti, e lo stupore sugli occhi dei commensali quando servi la tua vellutata di zucca e salvia in fondine di foglie di palma. A casa mia è successo più di una volta, e ho sempre colto l’occasione per fare buona pubblicità a chi commercializza questi articoli, non solo per la praticità nell’integrare con stile il servizio in ceramica di uso abituale, ma soprattutto per la sostenibilità del materiale e per l’originale contributo dato alla riduzione dei rifiuti, grazie ovviamente alla totale biodegradabilità. 

 

Semplici e più eleganti dei piatti in cellulosa, sempre più spesso proposti anche nei catering attenti all’ambiente, i piatti in foglie vegetali sono stoviglie resistenti e, volendo, anche riutilizzabili per un paio di volte. Ne troviamo ormai di vari tipi, da quelli più classici e rustici a quelli più raffinati ed evocativi, come quelli prodotti dalla Leaf Republic, un’azienda tedesca che ha messo a punto un’idea innovativa, pratica (questi piatti sono utilizzabili sia al forno sia al microonde per brevi intervalli di tempo) e vincente. Ispirandosi infatti al ciclo naturale della vita vegetale, hanno ideato un piatto in grado di tornare alla terra (proprio come una foglia), decomponendosi in meno di un mese, vantaggio indubbio sia per campeggi e pic nic all’aria aperta, sia per condizioni di disagio in cui uno scorretto smaltimento dei rifiuti può aggravare crisi già in atto (p. es. campi profughi o di protezione civile).

 

Era partita la Francia, con la notizia di qualche mese fa di vietare le stoviglie in plastica. In questa direzione ora si stanno muovendo anche aziende famose, come ad esempio la svedese Ikea. Joanna Yarrow, referente sostenibilità per il Regno Unito del colosso dell’arredamento e degli accessori per la casa ha recentemente annunciato una virata ecologica al sapore di… funghi! Anche se non ancora confermato il nome dell’azienda con cui la collaborazione potrebbe decollare, la scelta sembra orientarsi verso imballaggi che puntano a sostituire il polistirolo (materiale difficile da riciclare, per la cui decomposizione sono necessari secoli) con prodotti ideati da una compagnia newyorkese, la Ecovative. Qui letteralmente si “coltiva il packaging” utilizzando il mycelium, il cui funzionamento è simile a quello delle radici di una pianta: aggancia il fungo al suolo e assorbe il nutrimento, che in questo caso spesso significa scarti agricoli come le foglie di mais lavate e utilizzate come terreno di cultura del fungo. Il processo innescato permetterà la produzione, direttamente dentro lo stampo di riferimento, del materiale utilizzato per l’imballaggio, simile al legno per le sue caratteristiche e pronto a decomporsi in sole due due settimane nella raccolta dei rifiuti organici. Gli imballaggi in fungo (il cui marchio registrato è Mushroom® Packaging) sono già utilizzati da tempo da aziende come ad esempio Dell, che li ha introdotti nella spedizione di server e computer.

 

Parlare di imballaggi ci porta inevitabilmente a ricordare l’enorme quantità di plastica che circola nel mondo, causa di ingenti danni all’ecosistema in tutte le sue forme. La plastica, come sappiamo, impiega oltre 1000 anni a decomporsi in natura, e una delle forme più assurde di inquinamento da plastica è quello delle bottigliette di acqua e bibite, nella maggior parte dei casi contenitori usa-e-getta che non vengono riutilizzati (e meglio che non lo siano, date le comprovate ricadute negative del loro utilizzo ripetuto per la salute!). Questa volta un’idea da conoscere e sostenere è venuta ad Ari Jónsson, designer islandese che ha elaborato una bottiglia biodegradabile a partire dalle alghe. In particolare dall’agar, una sostanza derivante dall’alga utilizzata spesso come addensante nella cucina vegetariana e vegana e scoperta a metà del 1600 da un locandiere giapponese che ne notò casualmente le proprietà gelificanti. La bottiglia di agar mantiene la sua forma fino a che non viene svuotata, e poi comincia a decomporsi. Nel caso il sapore non dispiaccia può essere perfino masticata, essendo totalmente garantita l’esclusione di sostanze nocive, non solo per l’ambiente, ma anche per l’uomo.

 

Siamo sicuri che queste non saranno le uniche innovazioni nel campo del packaging: l’elevatissima diffusione di materiali per l’imballaggio pone l’urgenza di ridurne l’utilizzo e di renderlo decisamente più sostenibile. Idee di questo tipo, per quanto ancora embrionali, ci conducono verso un futuro più leggero e meno impattante, dove non saremo costretti a rinunciare all’utilità di alcune conquiste, ma potremo di certo investire nella loro evoluzione, rendendole meno longeve e quindi meno pericolose per noi e per il Pianeta.

Anna Molinari