Dopo i fatti di Berlino e l’uccisione dell’attentatore a Sesto San Giovanni, si torna a discutere del legame tra l’arrivo dei “profughi” e il terrorismo islamico; il neo ministro Minniti il 30 dicembre ci regala una circolare in cui invitano le forze di polizia ad intensificare il controllo e l’espulsione dei migranti irregolari; dichiara inoltre che entro il 2018 sarà aperto un CIE in ogni regione.

Ormai non ci si domanda più quale sia il reale nesso tra immigrazione e delinquenza, comune o politica che sia. 25 anni di discorsi a senso unico hanno legittimato qualunque forma di controllo sui corpi dei migranti: il governo, ignorando tutti i dati e le analisi che dicono il contrario, assume e spaccia per vera la tesi razzista dell’invasione, rincorrendo la destra intollerante e xenofoba nel tentativo di rivolgere altrove l’attenzione e l’indignazione dei cittadini per lo stato disastroso del paese e di recuperare una popolarità che sempre più gli sfugge.

Quale sia il nesso tra l’arrivo dei “profughi” e i terroristi proprio non si capisce: gran parte di quanti arrivano in Europa fuggono proprio da situazioni di violazioni dei diritti spesso causate anche dai fondamentalismi religiosi: il terrorista ucciso a Sesto San Giovanni non era tale quando è arrivato, ma ha incontrato in Italia, in carcere, la degenerazione della fede; se dal carcere esci peggio di come sei entrato, bisogna avere la schiettezza di dire che il carcere, specialmente nelle condizioni in cui si trova il sistema penitenziario italiano oggi, è inutile e dannoso; nessuno degli attentati degli ultimi anni è stato realizzato da cittadini arrivati in tempi recenti.

La clandestinità non esiste per natura, lo diciamo da anni insieme a molti altri: viene creata invece da pratiche amministrative volte ad escludere gli stranieri dal godimento dei diritti di cittadinanza. Che poi coloro che ostinatamente ci si rifiuta di vedere sfuggano ai controlli, aumentando l’insicurezza, non ne è che la logica quanto amara conseguenza: in Italia si può vivere per anni come cittadini inesistenti, farsi sfruttare col lavoro nero, avere una casa in affitto irregolarmente, contribuire a basso costo al benessere di questo paese senza godere dei più elementari diritti, e poi magari essere rispediti “a casa” nella disperazione da uno Stato che solo allora si accorge di te, magari durante i controlli di questa nuova ondata securitaria capeggiata da Minniti.

A fronte della palese incapacità dell’intera classe dirigente europea di gestire il fenomeno migratorio, quale luminosa novità s’inventa infatti il ministro? La detenzione nei CIE e i rimpatri tramite accordi multilaterali con gli stati di provenienza come Egitto, Libia, Sudan, Nigeria, paesi governati da dittatori o flagellati da guerre civili e terrorismo: il prezzo delle nostre fallimentari politiche economiche e militari in Africa e nel Medio Oriente viene così fatto pagare ancora una volta a coloro che ne sono vittime.

La soluzione sarebbe molto semplice (ed economica):

  • Cessare l’assurda e controproducente politica di restrizioni sui visti d’ingresso che favorisce solo la criminalità organizzata dei trafficanti;
  • Permesso di soggiorno per ricerca lavoro per 12-18 mesi per chi giunge in Italia (con conseguente drastica riduzione delle domande d’asilo improprie causate dall’indisponibilità di altri strumenti per restare regolarmente in Italia);
  • Smantellamento del sistema di accoglienza emergenziale (CARA e CAS);
  • Fine di qualunque rimpatrio forzato non strettamente motivato da esigenze di pubblica sicurezza;
  • Reinvestimento delle risorse liberate dalle ultime due misure (un solo rimpatrio costa 7.000 euro) nel rafforzamento del sistema di micro-accoglienza diffusa (SPRAR) e in formazione professionale, sussidi abitativi e servizi socio-sanitari disponibili all’intera cittadinanza.

I migranti non hanno bisogno di maggior controllo ma di maggiori opportunità, come tutti noi cittadini: condividiamo lo stesso futuro. Sta a noi, oggi, sceglierne la direzione.