Sarà che in questi giorni di “storie di paese” se n’è sentite tante. Di alcune avremmo fatto volentieri a meno di raccontare e sentir raccontare (anche da testate internazionali), perché all’Italia di Goro e Gorino che alza barricate davanti a una manciata di donne e bambini accampando le scuse dell’isolamento, della paura e del rischio turistico preferiamo di gran lunga l’Italia di Napoli e dei suoi striscioni di benvenuto che accolgono migranti e rifugiati disseminando la città di messaggi di civiltà. Di altre abbiamo ascoltato i resoconti strazianti e angosciati, di comunità che potrebbero sgretolarsi assieme alle case rese maceria dai terremoti e che invece resistono contro la disperazione e il freddo, insieme per ricostruire mura e serenità.

La storia di paese di oggi è una storia piccola, quasi una favola, che si appoggia sullo scaffale delle tante geografie di un Paese che ogni giorno, silenzioso e senza clamori, attiva pratiche e iniziative per creare coesione, alimentare la solidarietà, ribellarsi all’individualismo e all’egoismo che minacciano ovunque il tessuto sociale.

Siamo a Succiso, in provincia di Reggio Emilia, a quasi 1000 metri sul livello del mare e meno di 100 residenti. Un paesino che scompare dalle mappe ma che è l’ombelico del mondo per ricercatori curiosi. Si avvera qui infatti un esperimento di cooperativa di comunità, quella di Valle Dei Cavalieri, nata da un’idea molto vicina al vero: un paese senza un luogo di aggregazione è destinato a sfaldarsi e a morire. Così, alla chiusura dell’unico bar del paese più di 25 anni fa, di strada se n’è fatta a Succiso. I ragazzi della proloco si sono dati da fare e, risistemando la struttura della vecchia scuola diroccata, hanno dato vita appunto a una cooperativa, aprendo un bar e un negozietto di alimentari dove si produce anche il pane fresco, e avviando poi un ristorante che oggi ha più di 200 coperti e soddisfa le esigenze anche degli ospiti del vicino agriturismo. Senza dimenticare la riscoperta di attività tradizionali come l’allevamento delle pecore e la caseificazione, la manutenzione dei sentieri e le attività proposte per turisti e ragazzi. Una serie di servizi che fungono da prezioso collante sociale, tutti gestiti dalla cooperativa “che fa vivere il paese” puntando sulla polivalenza dei dipendenti. Ognuno svolge infatti attività diverse a seconda delle giornate e del bisogno, garantendosi così una versatilità personale e professionale e allo stesso tempo assicurando il funzionamento dei delicati ingranaggi della cooperativa stessa.

Si tratta di un’esperienza ormai rodata, che festeggia anniversari e successi grazie alla fatica e al senso di appartenenza dei suoi membri e promotori. Un senso di appartenenza che declinato in questo modo dovrebbe più che mai farci riflettere, proprio a fronte di momenti difficili come quelli citati in apertura di articolo, che le nostre comunità si trovano a vivere e ad affrontare. I legami sociali di quell’“Italia interna” di cui Franco Arminio poeticamente recupera voci e silenzi non si slacciano più soltanto per le migrazioni verso le (periferie delle) grandi città, ma si allentano per ragioni complesse e molteplici, alcune naturali, imprevedibili e tragiche come la distruzione di un borgo e del suo tessuto di tradizioni e abitudini a causa di una scossa di terremoto, altre decisamente più umane e arginabili. Come ad esempio la sconfitta della civiltà di fronte alla paura, la difesa del proprio spazio di movimento piccolo e ottuso, che non concepisce la condivisione, l’amore per il territorio e per il prossimo che lo venga ad abitare, indipendentemente dal colore della pelle o dalla cittadinanza dei propri documenti.

Quella di Succiso è un’esperienza “ormai nota”, forse vecchia per fare notizia di fronte alla cronaca di queste ultime settimane. E proprio queste sono le ragioni profonde per ricordarla ora, per ricordare a noi stessi che il senso di appartenenza a una comunità si misura nella capacità di accogliere e cooperare contro lo spopolamento dei borghi, contro le demagogie e le paure che intasano i pensieri di civiltà e le azioni di coraggio, contro la sfiducia che troppo spesso soffoca in gola parole di benvenuto per il nostro prossimo e ostacola percorsi e realtà di cittadinanza attiva.

 

Anna Molinari