Unimondo ha dato ampio risalto al quarantesimo anniversario della Carta di Algeri e alla Conferenza internazionale sul tema organizzata dalla Fondazione Lelio Basso nel mese di luglio.

Negli stessi giorni in Paraguay il tribunale di prima istanza di Asuncion ha inflitto pene durissime ­– dai 4 ai 30 anni di carcere agli undici contadini ritenuti responsabili della morte di 17 persone durante lo sgombero di un terreno occupato in Curuguaty (est del Paraguay ).

Le tomas de tierra (insediamenti abusivi) sono frequenti nel Paese, il primo al mondo per concentrazione della terra in poche mani e citato esplicitamente nella “Laudato si’”: il 2,5 per cento dei latifondisti possiede l’85 per cento della superficie coltivabile disponibile. Almeno 300mila contadini, al contrario, sono “senza terra”. Sono questi ultimi, in genere, i protagonisti delle occupazioni.

Nel 2012, 70 famiglie si insediarono abusivamente nei terreni dell’azienda Campos Morumb. Il 15 giugno, 250 agenti cercarono di sgomberarli: negli scontri morirono 11 contadini e sei agenti. La strage portò, inoltre, all’impeachment nei confronti dell’allora presidente, Fernando Lugo – ex vescovo della Teologia della Liberazione e al ritorno al potere del Partido Colorado che con la dittatura Stroessner da 61 anni perpetua una “narcodemocrazia”, come l’ha definita l’ex Presidente dell’Associazione mondiale di sociologi Wallerstein Emmanuel.

Nel paese governato dalle mafie del latifondo e del agrobusinesss, le gravi condanne dei contadini significano l’impunità e la responsabilità politica del Presidente Cartes, come hanno denunciato anche Vescovi della Chiesa Cattolica come Mons. Medina (diocesi di Misiones) e Mons. Lucio Alfert (diocesi del Chaco) , un anno dopo la visita in Paraguay del Papa Francisco .

Va ricordato il forte monito di Mons. Catalino Claudio Giménez Medina, Vescovo di Caacupé (Paraguay) e Presidente della Conferenza Episcopale del Paraguay (CEP) secondo il quale “il traffico di droga è uno dei mali che influenzano la giustizia del Paraguay”.

La Conferenza Episcopale del Paraguay nel 2014 ha denunciato il forte legame tra “corruzione e narcopolitica” sottolineando che “Lo stato di corruzione, già denunciato dai Vescovi nella lettera pastorale del giugno 1979 (“El saneamiento moral de la Nación”), è presente ancora oggi, con l’aggravarsi della crescita esponenziale del traffico di droga (con conseguenze disastrose sulla sanità pubblica) che infetta e coopta settori della politica, con i suoi tentacoli, in tutti i poteri di governo e la cui portata è ancora da verificare”.

Mercedes Canese, militante di Giubileo Sud e vice-ministra dell’Energia del Governo Lugo (2010-2012) commenta che “e’ intollerabile questa condanna del caso Curuguaty e per questo ci rivolgeremo ad istanze internazionali come la Corte Interamericana dei diritti umani CIDH di Washington”.

Tuttavia spesso questi organismi giudiziari sovranazionali non funzionano. Per esempio Gianni Tognoni – il segretario generale del Tribunale permanente dei popoli, è scettico sui risultati della Corte penale internazionale TPP e dichiara in un’intervista che “la Corte penale internazionale è stato un prodotto molto tardivo e sostanzialmente quasi obbligato visto quello che era successo negli anni 90 con il genocidio in Rwanda, o le guerre nella ex Jugoslavia, o nel Golfo. Rimane il fatto che i Paesi “centrali” non ne hanno ratificato il trattato di istituzione, dichiarandosi così non vincolati a questa proposta di tribunale internazionale. Il TPP ha avuto dei ruoli sicuramente positivi dal punto di vista dell’utilizzo delle sue sentenze da parte di quelli che sono stati movimenti di liberazione”.

La giustizia transnazionale è dunque possibile solo se viene accompagnata parallelamente dalla mobilitazione e dalla pressione della società civile che, come nel caso del Paraguay, dimostra quanto i popoli non tollerino più l’impunità di oppressori con alle spalle evidenti coperture politiche.

Cristiano Morsolinesperto di diritti umani in America Latina dove vi risiede dal 2001.

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