“Votare sì o no al referendum costituzionale vuol dire votare pro o contro l’idea di cambiamento che abbiamo per il Paese. Chi dice no – ha detto la ministra delle riforme Maria Elena Boschi l’11 luglio, intervenendo ad un convegno della Cisl – merita rispetto e ascolto, ma è contento di come stanno le cose oggi, mentre chi dice sì vuole cambiare, non si accontenta dell’esistente, ma guarda al futuro. Se passa il sì questa sarà la riforma degli italiani, un’occasione unica, saremo tutti madri e padri costituenti”.

Ci risiamo con la retorica del nuovo. Chi vota no è un conservatore, chi vota sì è per il cambiamento. Se applicassimo questa formuletta al passato, dovremmo concludere che chi ha votato no alla riforma costituzionale approvata dal centrodestra nel 2006 era un conservatore, cioè il centrosinistra che adesso si propone come innovatore. A meno che si sia conservatori un decennio sì e un decennio no: nel 2006 erano conservatori coloro che hanno votato sì, mentre nel 2016 sono conservatori i sostenitori del no. Non sembra logico, ma è difficile uscire dalla contraddizione. Perché è chiaro che, se vincesse il sì al referendum, alla eventuale successiva riforma costituzionale che modificherà questa riforma, la ministra Boschi si troverà a dover scegliere se difendere la propria riforma con un no o passare dalla parte dei nuovi riformatori con un sì. In entrambi i casi cadrebbe in contraddizione.

Accantonando la logica, resta il problema del contenuto del progetto di revisione. E anche in questo caso i conti non tornano. Per esempio il testo originario del Titolo V della seconda parte della Costituzione, relativo alle competenze delle regioni e degli enti territoriali, è stato modificato nel 2001. Gli innovatori, volendo dare più potere alle regioni, allora votarono sì. Oggi, con il progetto di revisione, chi voterà sì sarà di fatto un restauratore, perché alle regioni verrà tolto ciò che 15 anni fa era stato dato: tutt’altro che rinnovamento! Insomma, sarebbe tempo di smetterla con i giochi di parole e con la (falsa) retorica del nuovismo e del riformismo. E che questa retorica sia alimentata quotidianamente da chi è al potere, dovrebbe far riflettere seriamente.

Ma il peggio deve ancora venire. Come si fa a dire che “se passa il sì … saremo tutti madri e padri costituenti”? Anzitutto, sarebbe meglio evitare i paragoni con coloro che hanno scritto quella Carta che ci ha consentito di arrivare fino ad oggi. Noi siamo comunque in debito con quei padri e quelle madri. Per non dire dell’imparagonabile livello di qualità della classe politica di allora con quella odierna. Lasciando da parte la palese presunzione della ministra Boschi, è evidente che si è madri e padri costituenti sia se si vota sì, sia se si vota no, poiché in entrambi i casi si sceglie una Costituzione. D’altre parte se votando no, cioè mantenendo la Costituzione in vigore, non si è più madri e padri costituenti, significa che non lo sono stati coloro che l’hanno approvata nel 1947 e tutti i Parlamenti che l’hanno modificata nel corso del tempo. Vogliamo augurarci che la presunzione di un ministro non arrivi al punto di considerarsi l’unica vera costituente della storia della Repubblica. A tutto c’è un limite.