L’arte come rappresentazione di tutto, narrazione di storie, spesso legata ai diritti umani, reportage e vita reale cavalca le testate giornalistiche di questi giorni grazie alla famosa rassegna allestita nell’idilliaca cornice della Costa Azzurra. Star da ogni zona del mondo sfilano lasciando parlare più i gossip legati alle scollature o allo scintillio degli abiti che la cultura stessa. Una donna di quasi settant’anni, Susan Sarandon, ha ricordato a tutti noi e non solo ai fotografi e ai giornalisti che l’hanno immortalata, stupiti della fierezza con cui si è presentata a uno degli eventi cinematografici più famosi al mondo, l’assedio decennale che opprime il popolo palestinese. L’arte, come lei insegna, ma soprattutto la professionalità, non sono e non saranno mai schiave di nessuno, sono libere di volare lontano sino a raggiungere la Striscia di Gaza.

Il giornalista Saud Aburmadan si occupa non solo di cronaca, ma anche di cultura e diritti umani ed è riuscito a far volare il Red Carpet Film Festival con lo slogan “Facciamo respirare”. L’evento legato alla cinematografia d’oltre confine ha preso vita il 15 maggio 2015 dalle macerie dei 51 giorni di bombardamento dell’operazione Margine Protettivo dell’estate del 2014, usando la cultura per combattere l’assedio che lo stato d’ Israele impone da decenni, donando storie e sogni e facendo sentire la popolazione non troppo lontana da quel mondo ovattato che spesso appare intoccabile.

Il grande schermo richiama per il secondo anno un numero sempre maggiore di persone, donando a chi ancora oggi ha la possibilità di tracciare una linea professionale diversa per il proprio futuro un’altra idea di arte non statica e pensata per un pubblico hollywoodiano. Competenze sempre maggiori delle scuole arabe di cinematografia danno così la reale sensazione che l’Occidente non sia un confine ideologico differente ed insormontabile. Si narra non solo di guerra, ma anche di amori e relazioni, rammentando così a ogni osservatore che l’essere umano non è prigioniero della propria cultura, ma è in grado di spaziare e ha come luogo comune il cuore e i sentimenti.

La rassegna cinematografica punta a rilanciare soprattutto tra i giovani la cinematografia come possibile futuro comunicativo con l’esterno; il popolo palestinese è un popolo di artigiani, legato all’arte dei tempi antichi, quindi per realizzare questo piccolo sogno non vi sono stati ostacoli insormontabili come qualcuno avrebbe potuto immaginare prima del suo inizio. Il tappeto rosso di Gaza è lungo 120 cm; tutti, sia bambini che anziani, potranno percorrerlo sentendosi per un giorno star al centro del mondo, lanciando così il messaggio che ognuno di noi è un essere unico e speciale.

Il regista Khalil Al Mzayn quest’anno vuole tutti i palestinesi sul red carpet e lancia l’iniziativa di far scorrere il drappo rosso sino al porto, dando un giorno di luce anche a quella parte di popolazione isolata e lontana dai riflettori quotidiani e dalla gente comune.

A ospitare l’evento il Centro Culturale Rashad Al Shawa di Gaza City, invaso da centinaia di amanti della cultura cinematografica. Il pubblico ha potuto vedere lungometraggi, cortometraggi, film d’animazione della durata massima di 70 minuti. Alla popolazione dell’enclave è spesso negata la possibilità di accedere a Internet e così si deve accontentare di programmi televisivi scadenti. I film che hanno riscosso il maggior successo sono stati un lungometraggio sulla vita dell’artista arabo Mohammed Assaf e la storia di un bambino dopo la perdita del padre. Il festival terminerà mercoledì 18 maggio 2016; la Mezzaluna Rossa Palestinese chiuderà il sipario con la proiezione del film “Sarah”, con un invito al sogno e la speranza che in futuro ci sia un tappeto sempre più lungo e luminoso per tutti, non solo per le star d’altri tempi.