Avete un oggetto che usate molto poco? Condividetelo! È possibile farlo attraverso Leila, la “biblioteca degli oggetti”, dove le persone lasciano in deposito cose che utilizzano di rado, mettendole a disposizione degli altri. È un modo per costruire una nuova forma di scambio basata sulla condivisione anziché sulla mediazione del denaro.

La sharing economy è ormai una grande marea che sta contaminando positivamente l’Italia e si stanno moltiplicando le iniziative in cui il denaro non è più al centro delle relazioni economiche e sociali. L’ultima novità arriva dalla Germania ed è un luogo dove è possibile condividere oggetti anziché acquistarli. Si chiama Leila, si trova a Bologna e noi siamo andati a visitarlo.

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Antonio e Francesca ci accolgono seduti davanti alla grande libreria degli oggetti che è il cuore pulsante di Leila, il “negozio della condivisione” nato da poche settimane. Spiegandoci come funziona questo progetto, Antonio chiarisce subito le differenze con Passamano e gli altri negozi senza soldi di cui abbiamo parlato: «Noi ci basiamo sulla condivisione. Alla persona che viene, non chiediamo di lasciarci gli oggetti di cui si vuole liberare, ma quelli che ancora le appartengono e che continua a usare, anche se non quotidianamente». In pratica, invece che tenerlo in cantina lo porto in “biblioteca” e in cambio posso utilizzare tutto quello che è stato messo in condivisone dagli altri utenti. Per esempio, fra gli oggetti in condivisione c’è una maschera da sub: un utente può prenderla in prestito per il periodo delle vacanze e poi restituirla alla biblioteca.

Per accedere al servizio si fa una tessera annuale che costa dai 25 ai 50 euro, a seconda delle possibilità di chi si iscrive. Alla scadenza, si può decidere se rinnovarla o meno e, in tal caso, ci si riprende l’oggetto. «Si basa tutto sulla fiducia – spiega Antonio – si cerca di fare cultura della condivisione. La fiducia oggi sembra quasi una malattia, questo progetto vuole ridefinirla. Vuole parlare molto di relazioni: la cosa bella è che un oggetto all’apparenza banale ha dietro delle storie e dei volti e questo crea vicinanza».

Ma com’è nato tutto? Antonio, che nella vita è il coordinatore di un’equipe che aiuta lavoratori in difficoltà, ricorda la genesi dell’iniziativa: «Un giorno leggo di Leila Berlino, il capostipite dei vari punti Leila, su un numero dell’Internazionale e l’idea mi colpisce molto perché è davvero semplice; io mi sono sempre occupato di condivisione, ho vissuto in un cohousing e mi sono scollocato. Ad aprile del 2015 su Report parlano di sharing economy e mostrano alcune realtà che funzionano fra cui Leila Berlino. A quel punto ho deciso di provarci, coinvolgendo anche Francesca».

I due scrivono a Leila Berlino, che suggerisce di partire coinvolgendo un gruppo di amici per testare l’idea. La risposta è stata immediata e durante l’estate è diventata un argomento di discussione molto gettonato. «A quel punto, abbiamo cominciato a costruire un team di persone che potessero dedicare professionalità volontaristicamente: Nicola, che è un informatico, un grafico, un video-maker e una fundraiser. A ottobre 2015 abbiamo presentato il progetto allo sportello Cittadinanzattiva del Comune di Bologna. In una settimana ci hanno risposto e Milena Naldi – Presidente del Quartiere San Vitale – ci ha messo in contatto con i ragazzi di Dynamo, che attualmente ci ospitano, e anche loro sono stati contenti di sperimentare l’idea. Così, ad aprile siamo partiti».

Il progetto è nato da poco e i suoi promotori devono ancora prendere bene le misure. Attualmente Leila è aperto martedì e sabato pomeriggio, ma ci sono già alcune idee per cominciare a crescere. «Vorremmo aprire anche un “Leila cinni” [“bambini” in bolognese] con giocattoli e una struttura un po’ diversa, dedicata ai più piccoli. L’obiettivo è creare un’alternativa diffusa e quotidiana all’acquisto low cost». All’orizzonte c’è anche l’espansione in altre città: dopo l’originale di Berlino, Leila ha aperto anche a Vienna, a Innsbruck e a Copenaghen e quello di Bologna è il primo punto in Italia.

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A un’idea con i principi della condivisione alla base si possono collegare mille altre cose: «La gente ha sete di questo tipo di iniziative! Siamo entrati in una fase in cui un modello è crollato e dalla crisi non si può uscire. Allora chiediamoci: “In che modo possiamo davvero smantellare questo sistema e costruirne uno nuovo?”. Non c’è bisogno di grandi risorse economiche perché alla base del progetto c’è il non dover spendere soldi».

Le persone che seguono Leila aumentano rapidamente, i feedback sono buoni, ma non è un progetto “comodo”: «È richiesto impegno a chi partecipa, perché bisogna liberarsi di quegli atteggiamenti legati alla cultura del possesso. Alcuni hanno portato anche beni a cui sono affezionati, non è stato facile e non tutti lo fanno. A chi ha paura di danni e di furti, diciamo che è come prestare l’oggetto a un amico in buona fede che, se lo perde o lo rompe, rimedia. I tesserati aderiscono a un regolamento in cui si impegnano a risarcire e venirsi incontro in caso di danni».

Guarda la scheda di Leila sulla mappa di Italia Che Cambia.

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