Il libro a cura di Mathieu Lietaert “Cohousing e condomini solidali” è una guida pratica alle nuove forme di vicinato e di vita in comune. Si fa spesso confusione tra cohousing, ecovicinato, ecovillaggi, comunità intenzionali, comuni, pensando che siano più o meno la stessa cosa. Il cohousing è una forma di vicinato molto interessante in cui famiglie o singoli decidono di condividere alcuni spazi e servizi pur abitando ciascuno nel proprio appartamento in totale privacy.

di Marìca Spagnesi

La prima cosa che preoccupa le persone quando sentono parlare di queste forme di vita in comune è proprio questo aspetto. Anche quando se ne apprezzano i numerosi vantaggi, la riservatezza resta sempre un punto interrogativo. In effetti, alcune di queste realtà presentano un alto grado di condivisione. Il cohousing, tuttavia, sembra coniugare molto bene il desiderio di riservatezza e la volontà di gestire un’economia familiare e non necessariamente solo comunitaria, con la condivisione di spazi comuni come sale per la vita sociale, laboratori per il fai da te, spazi esterni e giardini attrezzati per i bambini, lavanderie, attrezzi e dispositivi, in alcuni casi competenze all’interno del gruppo. Si tratta di una sorta di condominio aperto in cui invece di isolarsi nel proprio appartamento senza neppure conoscere il vicino, si condividono aspetti fondamentali della nostra vita con altri che vogliono la stessa cosa.

Si tratta di una coabitazione che prevede attenzione, aiuto reciproco, ascolto, rispetto della nostra necessità sempre più pressante di non sentirci totalmente isolati come succede in molte delle nostre città, e persi in caso di bisogno. Allo stesso tempo abbiamo il nostro spazio privatissimo che ci consente, quando non vogliamo, di stare da soli o solo con la nostra famiglia, indisturbati e liberi anche di non vedere nessuno. Non c’è quindi quel livello di condivisione più profonda che ci può essere in un ecovillaggio o in una comune.

Il cohousing, però, non è solo questo. Rappresenta, infatti, una vera e propria alternativa al consumismo sfrenato che attanaglia le nostre vite perché basate su un’economia distante dalle nostre reali necessità. L’idea del cohousing si basa su un’idea diversa di economia. In uno spazio così progettato si possono coltivare (a seconda dello spazio disponibile perché esistono anche cohousing di città) ortaggi e frutta, si può mangiare alla mensa comune se lo si desidera, l’intrattenimento è spontaneo e gratuito ogni volta che lo si vuole, le competenze del gruppo sono messe a disposizione gratuitamente: riparazioni, accudimento dei bambini in caso di necessità, eventuale scuola, partecipazione a incontri e seminari, condivisione delle macchine con conseguente risparmio su assicurazioni e manutenzione, risparmio sui costi di accoglienza di amici e parenti.

Naturalmente tutti possono coltivare come vogliono anche se non vivono in un cohousing ma quando si è assenti questo è un problema. Il fatto di avere degli spazi comuni dove potersi ritrovare, dove festeggiare e parlarsi, dà vita a relazioni profonde, importanti che ci fanno sentire meno soli quando siamo in difficoltà, ed è una delle cose che innalzano notevolmente la nostra qualità di vita. Siamo abituati a spendere molto in intrattenimenti per i bambini ma in un contesto in cui i bambini stessi non si trovino isolati, spendere per intrattenerli non ha più senso: date a un bambino un prato assolato per giocare insieme ai suoi coetanei e si dimenticherà computer, play station, telefonini, tablet e tv. Semplicemente perché non ha bisogno di tutti quegli oggetti per stare bene, per sentirsi felice. Si spendono normalmente molti soldi in riparazioni o per comprare attrezzi che useremo raramente. In un cohousing gli attrezzi e le competenze vengono messe a disposizione di tutti con conseguente notevole risparmio.

Molte donne lavorano fuori casa e sono costrette a delegare a qualcun altro che a sua volta lascia i suoi figli a qualcun altro, la cura dei loro figli. Naturalmente questo ha un costo molto alto, che si tratti di asili nido, baby sitter o simili. Una volta le donne pensavano da sé a curare i figli, la casa, la famiglia. Poi con il loro ingresso nel mondo del lavoro quelle mansioni sono entrate nell’economia formale e “adesso le donne sono pagate per fare quello che prima facevano gratis. Le donne ora hanno guadagnato la libertà data da un salario, ma ora quelle mansioni vengono acquistate da consumatori”. In un cohousing può essere recuperata più facilmente la dimensione della cura della propria famiglia senza sentirsi isolati ma, al contrario, sostenuti dal gruppo. Questo permette a molte donne di avere un peso molto minore e di non essere costrette a scegliere tra lavoro o famiglia.

In sostanza, nel cohousing viene incoraggiata un’economia di tipo informale e non monetaria, basata sull’amore, sul mutuo aiuto, sull’attenzione all’altro, sul sostegno. La mancanza di queste cose nella nostra vita quotidiana non è forse quello di cui ci lamentiamo più spesso? Non sono forse queste le cose che ci fanno sentire felici e degni di vivere la nostra vita? Quindi si tratta di un approccio e di un modo di vivere che potrebbe rappresentare una soluzione a molti dei problemi che affliggono la società moderna e ai quali ci siamo rassegnati perché non ci sembrano risolvibili.

Il cohousing è nato in Danimarca per poi espandersi in alti paesi del Nord Europa. Ha rappresentato una risposta ad alcuni bisogni delle società occidentali “dove l’affermazione del sistema neo-liberale ha visto insieme alla dissoluzione della rete familiare e parentale tradizionale, la drastica riduzione dei servizi e del welfare”.

Adesso che lo sfaldamento della famiglia tradizionale e la flessibilità del lavoro con tutti i problemi che hanno comportato, hanno raggiunto anche i paesi del Sud Europa, le esperienze di cohousing cominciano a nascere e ad essere preferite da sempre più persone come un’alternativa a un modello sociale che non soddisfa più.

In Cohousing e condomini solidali vengono affrontati tutti gli aspetti, anche quelli più problematici, per chi volesse saperne di più: la necessità di una visione comune, un atteggiamento aperto e disponibilità ad imparare a gestire ed affrontare i conflitti (che ci sono sempre), i passi necessari dalla progettazione alla realizzazione senza perdere di vista la sostenibilità ecologica del progetto stesso.

Il libro illustra alcune esperienze in Danimarca, Germania, Olanda, Stati Uniti, oltre a fare il punto sulla situazione in Italia riguardo alle realtà non solo di cohousing ma anche di ecovillaggi e condomini solidali.

Immaginate un mondo in cui i bambini siano liberi, un mondo a misura di uomo e di donna, una società in cui gli esseri umani si sentano un valore prezioso dalla loro nascita fino alla fine della loro vita. Non è utopia. Pur con tutte le difficoltà che progetti del genere comportano, con tutti i limiti degli esseri umani che ne fanno parte, con tutti gli ostacoli che si incontrano strada facendo e con le sfide da affrontare ogni giorno, c’è gente che prova a immaginare una società diversa e ogni giorno, passo dopo passo, cerca di realizzarla.

L’articolo originale può essere letto qui