Oggi si inaugura in Myanmar la campagna elettorale, la prima con la partecipazione dell’opposizione democratica e Aug San Suu Kyi dopo quelle per le elezioni del 1990, il cui risultato favorevole alla Lega nazionale per le democrazia venne annullato dall’allora regime militare. In parallelo con il processo elettorale, tuttavia, un altro elemento contribuirà a rendere il periodo fino all’8 novembre teso e incerto.

Una situazione tale da “non consentire il sonno per molti giorni”: così Asin Wirathu, monaco capofila dell’estremismo buddhista definisce la presunta minaccia portata dai musulmani, esaltando il proprio ruolo di tutore dell’identità nazionale.

La campagna anti-musulmana alimentata dalla propaganda che propone il rischio del sorpasso demografico sulla maggioranza buddhista se la natalità e l’influenza islamica non dovessero essere contenute, ha non solo creato una situazione difficile per i musulmani di etnia birmana e insostenibile per la minoranza Rohingya a cui non sono riconosciuti cittadinanza e diritti, ma ha anche messo alle strette la pretesa di democrazia del governo.

Sotto la guida del presidente Thein Sein, ex generale, dal 2011 il paese sta transitando dalla dittatura militare a una democrazia compiuta che avrà un passo determinante nelle prossime elezioni di novembre, tuttavia i limiti sono ancora numerosi e evidenti.

I musulmani, che nella storia del paese hanno avuto sempre un concreto ruolo politico pur essendo oggi solo il 5-6% della popolazione di 51 milioni, sono sempre più emarginati.

Episodi di violenza inter-comunitaria hanno avviato dal giugno 2012 nuove forti tensioni e una pressione verso i musulmani che ha anche sviluppato aspetti persecutori e ha spinto 140.000 individui di fede islamica in campi profughi o anche a cercare salvezza e sicurezza altrove con la fuga via mare. La propaganda di Wirathu, che nel 2003 fu incarcerato dal regime per la sua propaganda sovversiva, ha messo in difficoltà anche il movimento democratico ora all’opposizione. La stessa Lega nazionale per la democrazia, che ha la sua icona nella Premio Nobel per la Pace Aung San Suu Kyi, non può apertamente porsi in contrasto con i nazionalisti e non ha proposto alcun candidato musulmano tra i mille che chiederanno il voto a novembre

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