Ieri si sono svolte le elezioni nazionali forse più interessanti della storia della Repubblica di Turchia. Il partito al governo AKP puntava a 400 parlamentari per governare da solo e cambiare la Costituzione come desiderava. Sia CHP che MHP hanno condotto una campagna elettorale fortemente anti-AKP con la speranza di aumentare i voti. E la ‘new entry’, HDP ha puntato a superare lo sbarramento elettorale del 10%, pur rischiando di restare fuori dal Parlamento. Il risultato che è venuto fuori ieri sera ha suscitato un sorriso nei cittadini che ormai sono stanchi dell’arroganza dell’AKP; tuttavia con questi numeri la nascita di un governo sembra piuttosto difficile.

Quelle del 7 giugno sono state le prime elezioni nazionali dopo la rivolta del Parco Gezi del 2013, le prime elezioni nazionali dopo le maxi operazioni anti corruzione del 2013 e le prime elezioni nazionali dopo la scoperta(2014) di due tir pieni di armi destinate alla Siria, inizialmente definiti come degli umanitari da parte del governo.

Un paese sempre più diviso e un paese che ha sempre di più bisogno di cambiare il modello di crescita economica, la Costituzione e le leggi ereditate dai golpisti del 1980, con un sistema elettorale che lascia una grande fetta di rappresentanti fuori dal Parlamento.

Attualmente sono stati scrutinati quasi il totale dei voti (99.98%); ieri sera il presidente dell’Ente Superiore per le Elezioni(YSK), Sadi Guven, ha definito quasi ufficiale questi dati. Dunque il partito che ha governato la Turchia per quasi 15 anni da solo (AKP-Partito dello Sviluppo e della Giustizia) ha ottenuto il 40.85% dei voti portando a casa 258 parlamentari, il partito fondatore della Repubblica (CHP-Partito Popolare della Repubblica) ha ottenuto il 24.96% dei consensi e 132 seggi in Parlamento, il Partito del Movimento Nazionalista (MHP) ha preso il 16.28%, con 80 parlamentari e infine il nuovo partito HDP(Partito Democratico dei Popoli) ha ottenuto il 13.11% dei voti e dovrebbe mandare ad Ankara 80 rappresentanti.

Il Primo Ministro Ahmet Davutoglu ha definito il suo partito come il “vincitore” di queste elezioni con un risultato “leggendario” ed ha continuato dicendo: “Garantiamo che i membri del nostro partito non permetteranno a nessuno di danneggiare la stabilità e la quiete del paese”.  Il leader del CHP Kemal Kilicdaroglu invece ha pronunciato queste parole: “A vincere è stata la Turchia e la democrazia. Siamo contenti dei risultati”. Il presidente generale del MHP Devlet Bahceli invece ha specificato che il suo partito resterà fuori dalle coalizioni e manifesterà una volontà forte come opposizione. Infine i copresidenti dell’HDP Selahattin Demirtas e Figen Yuksekdag hanno dichiarato: “In queste elezioni hanno vinto coloro che sostengono la libertà, la democrazia e la pace. Questa è la vittoria degli operai, dei disoccupati, dei contadini, cioè di tutti gli sfruttati. Questa è la vittoria contro il colpo di stato del 12 settembre (1980) e contro il suo sbarramento elettorale del 10 %”.

I risultati venuti fuori dai seggi non permettono all’AKP di governare da solo; per questo ci vorrebbero 276 parlamentari. Il Presidente della Repubblica Recep Tayyip Erdogan e il Primo Ministro Ahmet Davutoglu hanno sempre rifiutato l’idea di un governo di coalizione, sostenendo che questa soluzione avrebbe portato un’instabilità economica e politica al paese.

Dall’altra parte i tre partiti dell’opposizione sia prima sia durante il periodo elettorale hanno guardato con scetticismo un’’eventuale coalizione a tre, anche perché si tratterebbe di unire un partito di estrema destra come il MHP con il partito ex filo-curdo HDP che ha raccolto una serie di piccoli partiti e movimenti di sinistra. Anche se sembrerebbe fattibile una coalizione a due tra CHP e MHP (dato che un anno fa hanno presentato un candidato comune per l’elezione del Presidente della Repubblica), i numeri non basterebbe per comporre un governo del genere. Prima e subito dopo le elezioni l’HDP ha garantito ai suoi elettori che non avrebbe partecipato ad un governo di coalizione con l’AKP.

Quindi oltre a un possibile cambiamento di posizione dei partiti nei confronti dell’idea di coalizione, restano due scenari eventuali che mirerebbero a portare il paese a elezioni anticipate in tempi da definire. Il primo è quello di un governo AKP con l’appoggio esterno del HDP e un impegno su punti precisi quali il cambiamento del sistema elettorale, il processo di pace con i PKK e il miglioramento in senso democratico dell’attuale Costituzione. Questa idea potrebbe essere replicata parzialmente anche con un governo di CHP e MHP, sempre con il sostegno esterno dell’HDP; le visioni del MHP e dell’HDP riguardo al processo di pace con i PKK però sono molto diverse e la questione ha un’importanza vitale per la Turchia.

Intanto il Parlamento turco vede facce nuove e nuovi numeri per la prima volta nella sua storia. Si nota innanzitutto un notevole aumento del numero di donne elette, dalle  79 delle ultime elezioni alle attuali  96. Tra queste nuove parlamentari ci sarebbe anche Dilek Ocalan, nipote del leader storico del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK) Abdullah Ocalan. Un altro nuovo eletto è il genero di Erdogan, Berat Albayrak.

Tra i nuovi membri del Parlamento per la prima volta nella storia della Repubblica ci sarà un Rom, Ozcan Purcu, candidato a Smirne con il partito CHP. A questo si aggiungono tre cittadini armeni, Garo Paylan (HDP), Seline Ozuzun Dogan (CHP) e Markar Esayan (AKP) e l’assiro/siriaco Erol Dora, candidato nella città di Mardin con l’HDP.

Queste elezioni prima di tutto dimostrano una forte perdita di consensi per l’AKP; considerando tuttavia che il CHP ha mantenuto i suoi voti, gli elettori che non hanno appoggiato l’AKP si sono indirizzati al Partito del Movimento Nazionalista (MHP), oppure al Partito Democratico dei Popoli (HDP), che  hanno  notevolmente aumentato il numero dei parlamentari. Mentre cresce il sostegno a un cambiamento democratico con i voti all’HDP, si rafforza anche la posizione nazionalista del MHP. Sembra che tutto stia nelle mani di questi quattro partiti per smantellare le eredità dell’ultimo colpo di stato e rendere meno polarizzata la società, che dentro di sé vive una divisione e spaccatura storica molto preoccupanti.

Il 9 maggio, durante un comizio elettorale nella città di Hatay, Ahmet Davutoglu aveva dichiarato davanti a migliaia di persone e centinaia di telecamere che si sarebbe dimesso la mattina dell’8 giugno nel caso in cui l’AKP non fosse riuscito a formare il governo da solo. Dunque il paese attende che il Primo Ministro mantenga la sua promessa.