Come temevamo, ha prevalso il mantenimento dell’attuale stato di cose e il nuovo governo greco non ha ottenuto niente di buono per il proprio paese: uscire dell’euro con la concertazione di chi ci resta avrebbe posto le basi di una ripresa in Grecia, con aumento della domanda interna e delle esportazioni (turismo compreso).

Lasciare l’euro per tornare alla valuta nazionale non costituisce un’umiliazione, ma è un grosso privilegio che va meritato gestendo la nuova moneta in modo assennato, cioè per lo sviluppo interno e non per improbabili avventure.

Il rinvio non consente ai greci di accumulare risorse per pagare i creditori europei, se non mantenendo o, addirittura, accrescendo l’avanzo primario: meno servizi pubblici e più tasse.

Unica via di salvezza, l’economia sommersa: se essa si veicolasse attraverso una moneta locale popolare per vendere beni e servizi all’estero in euro probabilmente sarebbe una valvola di sfogo all’inevitabile esplosione sociale.

Accordi più sostenibili per i greci avrebbero protetto l’Europa, che c’è sempre meno, come la crisi ucraina dimostra; invece essa si sta sempre più dimostrando una mera espressione geografica, dove la Germania la fa da padrona senza alcuna prospettiva strategica che vada oltre i suoi miserabili interessi di bottega.

La Francia non sta a guardare, ma dovrà decidersi: o sotto la Germania e allora per l’Italia si metterebbe molto male in mancanza di alternative geopolitiche (esistenti, beninteso, ma da esplorare), o prendendo distanze da essa e allora per l’Italia sarebbe un’occasione molto importante.

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