Ci piaccia o meno, l’Expo è un’opportunità straordinaria che abbiamo in Italia per difendere le economie locali che sostengono la vita, la sovranità alimentare, la libertà dei semi: parola di Vandana Shiva.

«La questione non è se siamo o non siamo a favore dell’Expo. Il fatto è che non possiamo permetterci di non essere a favore di un cibo di qualità migliore, di una vita di qualità migliore per tutti gli agricoltori e per tutti i cittadini del mondo. Oggi è in atto il tentativo di dichiarare illegale tutto ciò che sostiene la diversità, i semi naturali prodotti con l’impollinazione aperta, affinché i congegni che vogliono distruggere la vita possano avere campo libero». Così la scienziata e ambientalista indiana, invitata a Padova per festeggiare il 30° compleanno di una cooperativa agricola biologica, ha commentato il prossimo evento internazionale di Milano, dando inizio alla sua riflessione a partire dall’elemento più piccolo, il seme.

«Le sementi rimandano in me l’immagine della rete – ha esordito – quando penso alla rete, la configuro in senso universale, secondo il quale ogni suo nodo è riflesso della rete totale: niente è puramente frammento, perché tutto è l’intero e insieme interezza. Così nella rete della vita il seme incorpora in sé tutto il passato dell’evoluzione della natura e dell’umanità, e incorpora in sé anche tutto il potenziale del futuro. Da qui mi deriva la costante attenzione e preoccupazione per tale argomento.

Come tanti altri, fino a un certo punto della mia vita ho dato per scontato il seme: oggi, perciò, mi ritrovo con un grande debito di gratitudine verso la Monsanto, che me ne ha fatto capire l’importanza. Cito la Monsanto, ma devo aggiungere naturalmente anche le altre quattro multinazionali che dapprima producevano sostanze chimiche per la guerra, poi hanno indirizzato quelle medesime sostanze verso l’agricoltura e adesso lavorano nella predisposizione di semi geneticamente modificati. In ciascuna di tali fasi le multinazionali hanno sempre dichiarato di “lavorare per salvare il mondo”».

Furono il tema delle biotecnologie e un convegno del 1987 a farle cambiare prospettiva: «All’epoca non esistevano ancora gli ogm commerciali, c’era in bozze un progetto su come utilizzali per trarne profitto. Uno degli slogan di cui le aziende si vantavano e su cui basavano il loro operato era che l’ingegneria è un processo precisissimo per creare nuove strutture. Ma è falso. L’ingegneria genetica non fa allevamento nel senso di produrre nuove generazioni, ma semplicemente sposta geni da una specie all’altra. E, facendolo, non coltiva niente. Da sempre le forme viventi, la creazione si autocreano: se prendiamo un seme da un qualsiasi grano si creerà da solo e darà vita alla prossima generazione della specie. Il seme si fa da solo perché è vita e la vita si fa da sola. Ma anche nei sistemi non viventi non si può interpretare il prodotto dell’ingegneria genetica come un artefatto, una nuova creazione».

Eppure nel 1987 ancora un barlume di sincerità era presente nei messaggi di quelle aziende chimiche, che stavano per diventare le aziende dell’ingegneria genetica. Shiva ricorda che i responsabili affermavano di dover compiere il passaggio perché solo in quel modo avrebbero potuto diventare proprietari di brevetti. Occorreva enunciare di aver inventato qualcosa; sarebbero stati conseguenti l’ottenimento del brevetto e la raccolta dei diritti su di esso. «Per me era inaccettabile che i semi diventassero proprietà delle multinazionali, soprattutto in base a queste dichiarazioni totalmente false, secondo le quali le multinazionali avevano creato forme di vita. Credo che le iniziali degli ogm in inglese, cioè gmo, stiano benissimo per God move out, cioè Dio fatti da parte, perché ormai Dio siamo noi e con questa arroganza imporremo a tutti gli individui, a tutti i governi del mondo di farsi da parte e lasciarci fare».

Perciò è stato lanciato il movimento globale per la libertà dei semi: perché questi, da componenti quasi invisibili nella produzione di cibo, ora sono diventati il cuore di tutti i dibattiti politici, economici. Spiega l’ambientalista: «Se ci preoccupiamo delle api e della loro moria, non si può prescindere dai semi, perché si è scoperto che le sementi chimiche sono ricoperte di particelle tossiche responsabili della loro morte. E la tossina Bt degli ogm del cotone uccide gli insetti impollinatori e le farfalle. Uno studio scientifico ha dimostrato che il polline del granturco Bt è tossico per la farfalla monarca, mentre il polline di altri grani non lo è. Il 75% di queste farfalle è ormai scomparso.

Se riflettiamo sul tema dell’acqua, non possiamo non collegarci ai semi, perché i semi prodotti in maniera completamente naturale e che vengono coltivati in terreni organici usano solo un decimo dell’acqua usata dai semi preparati dalle industrie chimiche, i quali, tra l’altro, la inquinano pure.

Se ci sta a cuore il cambiamento climatico, non possiamo non pensare che il 40% dei gas serra proviene da un sistema di agricoltura industriale e che il miglior modo per ridurlo sarebbe tornare a un’agricoltura biologica, ad aziende agricole piccole e di famiglia, e ai semi locali.

Se ci interessa la terra, anche in questo caso dobbiamo occuparci dei semi. L’agricoltura chimica uccide il terreno perché parte dall’assunto che la terra sia una cosa morta. I libri di testo che propongono l’agricoltura industriale spiegano che la terra è un contenitore vuoto nel quale mettere i nostri semi, i nostri fertilizzanti. Ma gli ogm hanno un grosso impatto sulla terra. Per decenni il governo statunitense ha continuato ad affermare che gli organismi geneticamente modificati non nuocciono, ma io stessa ho condotto uno studio che ha dimostrato come la klebsiella geneticamente modificata ha ucciso tutte le piante di grano che le erano vicine, mentre quella non modificata non ha avuto alcun impatto sulle piante di grano. È stata un’azienda tedesca ad aver introdotto questo organismo e lo voleva usare per trasformare la biomassa, come la paglia, in metanolo per il carburante. Grazie alle denunce di singoli cittadini, abbiamo poi lavorato tutti insieme e siamo riusciti a far ratificare a livello internazionale un protocollo sulla biosicurezza.

Se temiamo per la salute personale, dobbiamo sapere cosa mangiamo e come è stato prodotto.

Se ci preme la libertà, dobbiamo lottare per la libertà degli agricoltori di salvare e di scambiare tra loro i semi dei loro prodotti».

Ecco, allora, l’importanza dell’evento Expo: «In tutte le vostre città, in tutte le vostre comunità il dibattito su chi nutre il pianeta, che poi è il tema di Expo, dovrebbe vedere la partecipazione attiva di ognuno: così sarà come buttare i semi del futuro riguardo la nutrizione del pianeta. Sarà un modo per rendere migliore la vita di tutti».

Cinzia Agostini