Il 9 novembre di 25 anni fa cadeva il muro di Berlino, l’emblema della separazione tra Est ed Ovest. Con la sua caduta, l’Europa ha iniziato un percorso verso l’unificazione, fatto di parole di libertà, democrazia e pace. La fine del mondo diviso in due e la morte della Guerra Fredda e delle dittature erano delle buone premesse per un mondo che finalmente parlasse il linguaggio della pace e della nonviolenza.

Tuttavia, oggi, 25 anni dopo la caduta di quel muro che divideva l’Europa a metà, sono ancora molte le barriere che continuano a dividere popolazioni e culture diverse. Per ragioni politiche o di sicurezza queste barriere alimentano tensioni e conflitti. In un’epoca in cui la globalizzazione avrebbe dovuto abbattere le barriere, nuovi muri continuano ad essere eretti, ottenendo effetti, come dimostra la storia, totalmente opposti a quelli desiderati.

Il mondo di oggi, di fronte ad una crisi umanitaria che sta mettendo in ginocchio Oriente ed Occidente, invece di eliminare le frontiere continua a costruirne. Il muro è un paradosso dei nostri tempi, difficile da spiegabile in un mondo in cui la libera circolazione di merci e di persone dovrebbe essere un obiettivo fondamentale e un valore irrinunciabile per una crescita economica e sociale. Oltre ad impedire lo sviluppo economico dei Paesi, i muri a volte, come quello tra Israele e Gaza, imprigionano e violano i diritti fondamentali e le libertà delle persone, primi tra tutti il diritto di movimento, al lavoro e alla salute. I muri limitano l’accesso alle risorse e non permettono di condurre una vita dignitosa. Nel caso della Palestina poi, il muro di separazione, dichiarato illegale dall’Onu già dal 2004, invece di essere una “soluzione temporanea” al conflitto diventa una realtà permanente di apartheid.

Ne aveva parlato The Guardian l’anno scorso con un articolo interattivo che spiegava quanti muri esistono e resistono e continuano ad essere eretti ancora oggi. Di acciaio o di cemento, con torrette di guardia o filo spinato, gli esseri umani continuano a costruire barriere di separazione e “muri della vergogna” in numero sempre più elevato. Come spiegano le analisi del Guardian, circa 6.000 miglia di muri sono state costruite solo nell’ultimo decennio. Ecco alcune tra le barriere di separazione più controverse, impressionanti e contestate oggi.

La barriera di separazione israeliana

Un palestinese davanti al muro eretto dal governo israeliano nella città di Qalqilya, in Cisgiordania

Un palestinese davanti al muro eretto dal governo israeliano nella città di Qalqilya, in Cisgiordania.

Anche detto “il muro della vergogna” o “muro dell’apartheid” è un sistema di barriere fisiche costruito da Israele in Cisgiordania a partire dal 2002 sotto il nome di security fence (chiusura di sicurezza), allo scopo, secondo Israele, di impedire fisicamente l’intrusione di “militanti” palestinesi nel territorio israeliano. Secondo i palestinesi invece lo scopo è quello di rubare altra terra ed imporre un confine de facto. La barriera occupa il 9,4% della Cisgiordania e di Gerusalemme Est. Lunga 730 km, ingloba la maggior parte delle colonie illegali israeliane (circa l’85% dei coloni israeliani vivono tra la Linea Verde e la barriera) e la quasi totalità dei pozzi d’acqua. Essa si discosta in certi posti a più di 28 chilometri dalla Linea Verde, il che significa che i confini della Linea non vengono rispettati da Israele.

Questa barriera consiste in una successione di muri, trincee e porte elettroniche ed è l’emblema dell’occupazione israeliana in Cisgiordania, in quanto gran parte di essa è costruita su terre confiscate ai palestinesi. I contadini sono ormai costretti a chiedere permessi alle autorità israeliane per accedere alle loro terre situate dall’altra parte della barriera.

Una delle aree che più hanno sofferto per la costruzione di questo muro è sicuramente il distretto di Qalqilya che è passato da area in forte espansione a zona cuscinetto con la più alta disoccupazione di tutta la Cisgiordania. Nel 2003, la costruzione del muro israeliano ha diviso in due il distretto, rendendo inaccessibili la metà dei terreni agricoli, fonte di reddito primaria per la popolazione. Gli agricoltori sono stati privati di gran parte dei loro mezzi di sussistenza, il muro ha spaccato in due i terreni agricoli, parte dei quali, rimasti dal lato israeliano, sono diventati inaccessibili. Qui si trova anche la principale falda acquifera di tutta la Cisgiordania e secondo le stime della Banca Mondiale, Israele estrae circa l’80% del “potenziale stimato” da questa falda mettendo così a rischio la sostenibilità di questa risorsa.

Nel 2004 la Corte Internazionale di Giustizia dell’Aia ha fortemente criticato la costruzione della barriera ricordando che il muro ed il regime che gli è associato sono contrari al diritto internazionale.

Molti artisti esponenti della “guerrilla art“, tra cui Banksy, hanno eseguito sul muro disegni e graffiti a sfondo provocatorio e di protesta.

La barriera al confine tra Stati Uniti e Messico

Croci appese sul lato messicano del muro di confine a Nogales, in Messico, per commemorare le 4.000 persone che hanno perso la vita nel tentativo di attraversare il deserto in cerca di una vita migliore negli Stati Uniti

Croci appese sul lato messicano del muro di confine a Nogales, in Messico, per commemorare le 4.000 persone che hanno perso la vita nel tentativo di attraversare il deserto in cerca di una vita migliore negli Stati Uniti.

Anche questa barriera è chiamata “muro della vergogna”. Prima dell’amministrazione Clinton erano poche e distanziate le barriere fisiche lungo questo confine. A partire dal 1993, con la barriera tra El Paso e Ciudad Juárez e poi nel 1994 tra San Diego e Tijuana, gli Stati Uniti hanno iniziato un vero e proprio giro di vite intorno ai principali punti di attraversamento secondo l’ottica di un triplice progetto antimmigrazione: il progetto Gatekeeper, in California, il progetto Hold-the-Line in Texas ed il progetto Safeguard in Arizona. Gli attacchi dell’11 settembre e la guerra al terrorismo che ne è seguita hanno poi rafforzato l’idea che il Paese avesse bisogno di impedire il passaggio di terroristi insieme ai migranti, ma il motivo principale era quello di limitare l’immigrazione dal Sud e Centro America.

Bush e poi Obama hanno costruito barriere sempre più salde e controlli sempre più robusti lungo questo confine. La barriera tra Tijuana e San Diego è fatta di lamiera metallica ed è alta dai 2 ai 4 metri ed illuminata ad alta intensità. È dotata di una rete di sensori elettronici e di strumentazione per la visione notturna, oltre ad un sistema di vigilanza permanente effettuato dagli elicotteri.

Il confine tra Stati Uniti d’America e Messico, lungo 3.140 km, attraversa territori di diversa conformazione, aree urbane e deserti. Dal lato statunitense la barriera è situata nelle sezioni urbane del confine, come San Diego, mentre dal lato messicano è situata nel deserto di Sonora. Migliaia di persone, soprattutto messicani, sono morte in questi anni tentando di superare la barriera. Il risultato immediato della sua costruzione, contrariamente agli scopi per cui è stata eretta, è stato un numero sempre crescente di persone che hanno cercato di varcare illegalmente il confine, attraverso il deserto di Sonora, o valicando il monte Baboquivari, in Arizona. Questi clandestini hanno dovuto percorrere circa 80 km di territorio inospitale prima di raggiungere la prima strada. Tra il 1 ottobre 2003 ed il 30 aprile 2004, 660.390 persone sono state arrestate dalla polizia di confine statunitense mentre cercavano di attraversare illegalmente il confine. Nello stesso periodo dalle 43 alle 61 persone sono morte mentre cercavano di attraversare il deserto di Sonora.

Il muro marocchino

Il muro del Sahara Occidentale, confine tra Mauritania e Marocco

Il muro del Sahara Occidentale, confine tra Mauritania e Marocco.

È una berma di sabbia e pietra di lunghezza superiore ai 2.720 km, costruita dal Marocco nel Sahara Occidentale per difendersi, a suo dire, dal Fronte Polisario. Tuttavia non è una struttura solo difensiva ma una zona militare a tutti gli effetti con bunker, fossati, reticolati di filo spinato e campi minati. Il campo minato che corre lungo il perimetro è quello con la più alta concentrazione di mine al mondo e si stima sia formato da circa 4.000 mine anti uomo per chilometro quadrato. Si tratta della barriera più grande del mondo dopo la muraglia cinese. Una parte del muro marocchino si estende per diversi chilometri anche nel territorio mauritano.

Da decenni, il Marocco avanza pretese su quest’area ricca di fosfati, inducendo la popolazione locale, i Saharawi, ad opporre resistenza attraverso il Fronte Polisario, che combatte dal 1975 per l’autodeterminazione del popolo Saharawi. Già nel 1960 l’ONU votò la risoluzione n.1514 con la quale si riconosceva il diritto all’indipendenza per le popolazioni dei Paesi colonizzati e nel 1963 il Sahara Occidentale fu incluso nell’elenco dei paesi da decolonizzare. Il Polisario è riuscito ad allontanare la Spagna e la Mauritania che rinunciarono a quel territorio rispettivamente nel 1975 e nel 1979, ma i marocchini non si sono mai arresi e con l’aiuto della Francia, di Israele e degli Stati Uniti, hanno messo a punto una strategia basata sulla costruzione di muri nel deserto. Quando l’Onu ordinò il cessate il fuoco nel 1991 erano stati eretti sei muri che si estendevano per tutto il territorio del Sahara Occidentale. Oggi gran parte dei Saharawi vive nei campi per rifugiati allestiti in una striscia di deserto tra Algeria e Marocco, in condizioni durissime ai limiti della sopravvivenza.

Continua…

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