Che fine ha fatto la Comunità dei Comuni Serbi del Kosovo? Quasi nessuno se lo chiede più, l’attenzione dei media è altrove, il testo degli accordi bilaterali del 19 aprile 2013 sembra destinato a finire nel dimenticatoio, ad ingrossare la mole dei documenti – lettera morta di cui sono piene le cancellerie e le diplomazie internazionali.
In effetti, a ben vedere, le cose non stanno così: passi avanti, sebbene molto lenti e faticosi, si stanno producendo, il gioco diplomatico internazionale e le continue pressioni, soprattutto della Germania, verso un riconoscimento forzato del Kosovo da parte della Serbia, non stanno intralciando del tutto lo svolgimento del processo, le titubanze dell’Unione Europea e lo stallo della crisi politica in Kosovo non impediscono alle due parti di incontrarsi e di dialogare.

Pressenza è stata tra i pochi, in Italia, a seguire e documentare costantemente lo svolgimento di questo itinerario, lungo e complesso, in tutte le sue articolazioni, sia sul versante serbo, con il governo di Belgrado impegnato nella difficile trattativa sui capitoli del negoziato per l’accesso all’Unione Europea (nel 2020?), sia sul versante kosovaro, con l’auto-governo di Pristina che ancora deve essere formato ed un paralizzante impasse politico-istituzionale.

L’ultimo incontro bilaterale nel quadro degli accordi del 19 aprile non è stato, tuttavia, vano: si è tenuto, come di consueto, a Bruxelles, nella sede del Servizio per l’Azione Esterna dell’Unione Europea, e ha affrontato proprio la questione centrale degli accordi, che non è il riconoscimento dello stato-di-fatto del Kosovo (che, d’altro canto, nemmeno l’Unione Europea, ufficialmente, riconosce, vista la contrarietà da parte di Spagna, Romania, Cipro, Slovacchia e Grecia oltre, ovviamente, a Serbia e Bosnia), ma il miglioramento delle condizioni di vita dei kosovari, a prescindere dal fatto che siano Serbi, Albanesi, Rom, Turchi, Bosniachi…

Si è discusso del passaggio e del transito delle automobili lungo la linea amministrativa tra la Serbia Centrale e il Kosovo e si è stabilito che, dal prossimo 1 dicembre, le visite nelle due capitali saranno concordate direttamente attraverso i cosiddetti “ufficiali di collegamento” (un funzionario kosovaro a Belgrado e un funzionario serbo a Pristina) e non più tramite l’EULEX, la contestata e controversa missione dell’Unione Europea per lo Stato di Diritto nella regione.

É proprio a ridosso dell’ultima sessione di dialogo, che è stata affacciata una nuova opzione politico-istituzionale per il futuro assetto della Comunità dei Comuni Serbi del Kosovo. In una sua recente intervista al quotidiano belgradese Večernje Novosti, Ljubomir Marić, coordinatore del team di implementazione della Comunità dei Comuni Serbi, ha dichiarato che la Comunità stessa sarà “quanto più possibile simile” al modello rappresentato, in Italia, dalla regione autonoma del Trentino – Alto Adige e, in particolare, dalla provincia autonoma del Sud Tirolo.

Le caratteristiche di autonomia della regione autonoma a statuto speciale, infatti, ne fanno un esempio di autonomismo e “power sharing”, da più parti mostrato come esempio, insieme, di auto-determinazione e di convivenza: in primo luogo, il rispetto della specificità linguistica, con l’attribuzione degli impieghi pubblici proporzionale alla consistenza dei gruppi linguistici, i funzionari regionali bilingue e le scuole sia in italiano sia in tedesco; la tutela del bilinguismo e il rispetto dell’autonomia amministrativa e fiscale, con la possibilità di rapporti transfrontalieri e il mantenimento sul territorio di una quota rilevante (il 90%) dei tributi riscossi.

Tradotto in serbo-albanese, questo modello potrebbe rappresentare, se applicato al caso della Comunità dei Comuni Serbi, un’applicazione avanzata dello spirito e della lettera degli accordi del 19 aprile, strutturando la comunità come una vera e propria provincia autonoma, composta dalle municipalità serbe che desiderino aderirvi, sebbene priva del requisito della continuità territoriale, dal momento che verrebbe a comprendere sia le municipalità a Nord sia quelle a Sud del fiume Ibar, che fa di Mitrovica una città divisa tra la parte serba e quella albanese; ed attribuendo a questa “provincia” un margine di autonomia, che, pur nel rispetto dell’integrità della regione, potrebbe salvaguardare gli interessi dei Serbi del Kosovo, oggi ampiamente marginalizzati (ove non fisicamente ghettizzati) in un Kosovo albanese sempre più etnicamente connotato.