Emergenza Ebola – Foto: milanpost.info

“Siamo tutti preoccupati. L’ebola invade ogni nostro pensiero ad ogni ora del giorno e della notte”. Ce lo racconta Daniel Sillah, project manager di Coopermondo, l’Associazione per la cooperazione allo sviluppo promossa da Confcooperative, che in Sierra Leone sta portando avanti due progetti per la sicurezza alimentare nel Paese. “Il problema principale è che molte persone non sono convinte che esista questa malattia, credono sia un’invenzione. Il 75% della popolazione è analfabeta e semplicemente non ci crede”.

Il governo della Sierra Leone ha istituito una “giornata di riflessione” durante la quale i cittadini sono stati invitati a rimanere a casa per meditare su questa terribile malattia. “Abbiamo pregato tutti insieme. Hanno diffuso informazioni, che è ciò che davvero manca nel Paese, con ogni mezzo: alla televisione, alla radio, con altoparlanti sulle macchine che giravano per i vicoli. In strada non c’è nessuno, solo i militari”. Vengono in mente le immagini del capolavoro del premio Nobel José Saramago, quando l’epidemia di cecità invade la città. “Prima di tutto hanno ribadito che la malattia esiste, è vera e rappresenta una reale minaccia di morte”.

Ma non solo la gente non ci crede: “Si sono sparse voci che se ti ammali e vai in ospedale lì ti uccidono per evitare che tu possa contagiare altre persone. Questo è un problema enorme: gli ammalati hanno paura di essere uccisi e tornano nei propri villaggi di origine a cercare di curarsi in maniera tradizionale. Ma questo è molto pericoloso perché aumenta il rischio di contagio”. E quindi ieri un importante messaggio trasmesso era proprio relativo all’importanza, se si avvertissero i sintomi, di andare nei centri organizzati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità dove l’ammalato non corre nessun rischio, ma, per precauzione, sarà semplicemente isolato. Come se la morte in solitudine possa spaventare meno di un omicidio a sangue freddo.

 “Nella capitale non c’è controllo. È una città che può accogliere 200mila persone e invece ci viviamo in almeno 3 milioni. A Bo e a Madaka, dove ci sono i nostri progetti, hanno isolato da subito i villaggi, mettendo check point di militari all’entrata e all’uscita: chi ha la febbre non può entrare. Certo, anche questa è una discriminazione: non tutti quelli che hanno la febbre hanno l’ebola, ma ormai viviamo nel panico. Qui tutti i giorni muoiono bambini a causa della malaria: solo che ora dovunque ti giri è ebola. L’altro giorno per esempio, è morto un ragazzo in ospedale per la malaria: hanno chiuso l’ospedale, gli infermieri sono scappati… poi hanno fatto gli accertamenti e si sono accorti che non era ebola. Ma capisci la tensione che si respira?”.

A Bo e a Madaka, seppur con molte precauzioni e con un innalzamento del livello di controllo, i progetti di Coopermondo continuano. “Finora non sono stati registrati casi nei villaggi. Gli oltre 150 contadini impegnati nel progetto di cooperazione agricola continuano a lavorare. L’allevamento di tilapia e pesce gatto è entrato in produzione e si potrà verificare la qualità dei primi esemplari a settembre. Oltre 300 famiglie indirettamente beneficiano di questi progetti. “Il progetto di acquacoltura è al suo primo anno ma quello agricolo è ormai alla sua seconda annualità: stiamo iniziando l’educazione finanziaria e al risparmio, che è fondamentale in questi progetti. Ora che hanno iniziato a produrre molto più di prima e possono vendere parte della produzione finalmente hanno dei soldi per pagare le tasse scolastiche per i figli, per comprarsi le medicine…”

Le sfide maggiori sono sempre i cambiamenti culturali e il rischio di questi progetti è sempre che, terminata la collaborazione, tutto si sgonfi e il livello d’impatto si riduca notevolmente. “I grandi progetti di cooperazione internazionale in passato non sempre hanno dato buoni risultati perché spesso erano impostati sulla logica del dono e hanno abituato i locali solo a ricevere, ricevere e ricevere. Quando finiva il progetto, finivano i fondi e… poco male, tutto tornava come prima. La grande differenza con il nostro piccolo progetto è che lo abbiamo ideato e lo stiamo portando avanti insieme ai destinatari, che lo hanno sentito e fatto proprio sin dall’inizio: con lo spirito cooperativo i contadini e gli allevatori hanno partecipato direttamente allo sviluppo del progetto e stanno capendo l’importanza di continuare da soli anche quando il sostegno di Coopermondo non ci sarà più”.

La cooperazione richiede vicinanza, partenariato. Gli agricoltori e gli allevatori di tilapia si scambiano prodotti, si incontrano, lavorano insieme: “Uno dei grandi risultati di questo progetto è che è riuscito a far lavorare insieme cristiani e musulmani e diversi villaggi limitrofi che prima non comunicavano”. Ma ora l’ebola spaventa, la vicinanza fisica aumenta il rischio di contagio. Cooperare diventa un rischio? “No, al contrario, è proprio la  cooperazione che ci permette di diffondere le notizie, di spiegare quello che sta succedendo, di rassicurare le famiglie che i malati saranno trattati con rispetto. La cooperazione è l’anima del progetto. E sarà quella a darci la forza per superare anche questo terribile momento”.

Intervista a Daniel Sillah di Camilla Carabini

Fonte: coopermondo.it