Non c’è dubbio che il premier turco Recep Tayyip Erdoğan esca dalle elezioni amministrative di domenica più forte. Allo stesso modo non c’è dubbio che il Kurdistan confermi di andare per la sua strada, che non è quella del resto del paese.

Il partito della Giustizia e Sviluppo (AKP) guidato dal premier guadagna, a livello nazionale un 7% in più che nelle amministrative del 2009. Ha perso città importanti il premier, soprattutto in Kurdistan, e ha dovuto lottare per mantenere il governo sia della capitale, Ankara, che di Istanbul.

Erdoğan non ha rinunciato ai toni forti e arroganti di sempre: ha denunciato complotti e frodi ai suoi danni. Si è sfacciatamente presentato sul balcone della sede del suo partito a Ankara per il discorso della vittoria, accompagnato dal figlio, indagato per corruzione. Il premier voleva dare al paese l’immagine di un leader che non ha paura. E invece anche in questa occasione ha dimostrato tutto il suo timore. Per questo grida, Erdoğan, per celare la sua paura. Ha vinto perché comunque nel paese c’è una maggioranza conservatrice a cui piacciono le maniere forti di  Erdoğan. E’ quella maggioranza che nutre un profondo risentimento contro quella che la giornalista Nuray Mert chiama “l’egemonia culturale e politica del secolarismo”. E’ una maggioranza che ha paura, come il primo ministro che vota. Arroganza e timore, sentimenti di onnipotenza e fragili paranoie sono state le caratteristiche di questo governo. In questi anni  Erdoğan e il suo governo sono stati preda di una mania di onnipotenza che li ha portati ad essere sempre meno disponibili al compromesso e alla trattativa, ma per un altro verso hanno cominciato a vedere minacce contro di loro da tutte le parti. E questo li ha resi sempre meno tolleranti con qualsiasi tipo di dissenso e anche ostili contro praticamente tutti, a parte i loro sostenitori.

Così  Erdoğan oggi gode di una maggioranza confermata e accresciuta, ma questo rischia di renderlo ancora più timoroso e pertanto più ostile e violento.

L’altra faccia della medaglia è stata la conferma che il Kurdistan continua imperterrito per la sua strada verso l’autonomia democratica. Il BDP (Partito della Pace e Democrazia) si conferma al governo di città importanti, come Diyarbakir, Van, Hakkari, Sirnak, Dersim e strappa Mardin, Bitlis e Agri all’AKP. Il sud est è a tutti gli effetti un altro mondo rispetto all’ovest. I kurdi hanno da una parte votato per la pace, sostenendo il BDP e dall’altra hanno confermato che il modello di governance proposto da questo partito piace e funziona.

L’autonomia democratica proposta dal BDP si basa su una democrazia veramente partecipata attraverso la creazione di consigli del popolo che lavorano nei quartieri a stretto contatto con le istituzioni.

Il BDP, insieme al neo-nato HDP (Partito della Democrazia del Popolo) che si presentava soprattutto nell’ovest del paese, ha ottenuto a livello nazionale il 6,4%, aumentando i consensi del suo predecessore (reso illegale nel 2009). Per l’HDP è stato un test importante, anche se i risultati forse sono stati un po’ al di sotto delle aspettative. Ma il partito ha il tempo per aggiustare il tiro in vista delle elezioni politiche del 2015.