L’appuntamento romano intorno ai contenuti e alle prospettive della riforma complessiva, approvata in Consiglio dei Ministri lo scorso 24 Gennaio, della cooperazione internazionale allo sviluppo del nostro Paese è servito a profilare, intanto, lo stato dell’arte e, di conseguenza, a delineare a ritroso il percorso seguito per giungere a questo significativo traguardo ed a rappresentare le luci e le ombre, le potenzialità e le ambiguità, i contenuti ed i limiti dell’impianto governativo della riforma stessa.

Convocato su iniziativa di Oxfam Italia e Action Aid, con CINI, Link 2007 ed AOI (Associazione delle ONG e delle Organizzazione per la Solidarietà e la Cooperazione Internazionale), il convegno romano è stato in realtà preceduto da numerosi altri appuntamenti, che sono serviti a meglio mettere a fuoco il tiro della proposta di riforma e a più nettamente individuare bisogni, rivendicazioni ed obiettivi del variegato mondo della cooperazione allo sviluppo. In un recente sondaggio presso gli operatori e i volontari della cooperazione internazionale, infatti, è emerso come il 64% ritenga prioritario lavorare affinché i fondi della cooperazione allo sviluppo siano gestiti con più trasparenza, il 51% promuovere la semplificazione delle procedure, il 43% riscontrare più competenza nel sistema.

Da questo punto di vista, già lo scorso Forum della Cooperazione Internazionale di Milano (1-2 Ottobre 2012) aveva rappresentato la classica occasione sprecata. Difficile ascrivere a quel Forum altri meriti se non quello della ripresa della pubblica attenzione sul tema. Nessuna innovazione nelle categorie, nelle policy proposte e nelle pratiche presentate. Poco spazio alla realtà dinamica della cooperazione internazionale italiana quale questa è, sia nell’intervento dello Stato in termini di aiuto pubblico allo sviluppo (APS) e cooperazione bilaterale e multilaterale, sia nell’azione della società civile, relegata quasi al ruolo di spettatore, se non di comparsa (o inutile orpello), in termini di azione co-operante, costruzione partenariale, collaborazione, insomma, tra i popoli, i territori e le comunità.

È in quella occasione che si è delineato, in termini più precisi e stringenti, il volto nuovo della co-operazione italiana allo sviluppo e il profilo specifico della riforma della cooperazione inter-nazionale. Un “volto nuovo” teso a “superare la separazione ideologica tra cooperazione [quella fatta dalle comunità] e internazionalizzazione [quella fatta per i profitti delle imprese]”, evitare di procedere “in ordine sparso” al fine di rendere la cooperazione allo sviluppo “coerente con la politica estera del governo” (la stessa che aderisce ai piani della guerra “umanitaria”, saluta l’intervento “protettivo” in Libia e si esercita nel fomentare la sanguinosa guerra civile in Siria). Il volto nuovo, cioè, di una cooperazione fatta dai privati, per esigenze di immagine e a tutela dei profitti, non più semplicemente “inscritta” ma addirittura “a servizio” della politica del Governo e degli interessi del business, coinvolgendo persino, sempre più, i militari nella gestione delle crisi e delle emergenze, come peraltro dimostrano gli stanziamenti per la cooperazione anche nell’ambito del decreto missioni.

A fronte di tutto ciò, il disegno di legge del Governo Letta per la riforma della cooperazione non fa altro che recepire tali intendimenti e dare seguito ad un lungo itinerario di iniziative parlamentari più o meno finite nel vuoto o nel dimenticatoio. Nei numeri di “open parlamento”, stiamo parlando di: 39 disegni di legge, 39 mozioni, 11 interpellanze, 15 interrogazioni orali, 48 interrogazioni scritte, 19 in commissione, 4 risoluzioni di assemblea, 16 risoluzioni in commissione, 6 conclusive, 73 ODG in assemblea, 16 ODG in commissione e decine di audizioni nelle commissioni competenti.

In sintesi, il convegno romano registra, quali punti di partenza della riflessione, almeno i seguenti:

a) l’esigenza, riconosciuta da tutti gli operatori del settore, di aggiornare la legge 49 del 1987, non solo perché “il mondo è cambiato” ma soprattutto per aggiornare i profili e gli strumenti del settore,

b) l’opportunità di mettere a valore il lavoro dell’inter-gruppo dei parlamentari per la cooperazione allo sviluppo, un’area trasversale di deputati e senatori, coordinata da Federica Mogherini del PD,

c) lo svolgimento di una costante consultazione, in particolare, con il Ministro degli Affari Esteri, Emma Bonino, e con il vice-ministro con delega alla cooperazione, Lapo Pistelli, anch’egli del PD,

d) i contenuti della lettera che le reti della cooperazione hanno indirizzato al Ministro per indicare le priorità della riforma, da più parti, peraltro, accusata di mancanza di visione ed eccesso di tecnicismo,

e) l’iter più recente, che ha portato alla presentazione ed all’approvazione in Consiglio dei Ministri, di una riforma complessiva, in forma di “disposizioni generali”, per la cooperazione internazionale.

A tal proposito, i punti salienti della legge di riforma del Consiglio dei Ministri sono i seguenti:

1) la cooperazione internazionale allo sviluppo viene definita come parte integrante e qualificante della politica estera del Paese nonché come articolazione del sistema della proiezione internazionale dell’Italia, sotto controllo ministeriale, con una propria dinamica “di sistema”, in quanto soggetti ed attori della cooperazione allo sviluppo diventano, insieme, le autorità pubbliche, le amministrazioni statali, le regioni, le province autonome e gli enti locali, le università e gli istituti di ricerca, il privato non-profit (non solo le ONG, ma anche le ONLUS e in generale l’associazionismo in regime di accreditamento) e il privato profit (imprese, aziende, cooperative, enti e fondazioni), accreditando in tal modo la piena e sostanziale equivalenza tra cooperazione non-profit e cooperazione profit;

2) l’istituzione di un fondo centrale e di un fondo rotativo cui accedono non solo gli enti del Terzo Settore, ma anche le aziende e il mondo “profit” e “business”, sia allo scopo di accompagnare e sostenere l’investimento all’estero del settore, sia al fine di costituire società miste con i partner nei Paesi terzi (accreditando così l’idea della reversibilità tra cooperazione ed internazionalizzazione); a ciò si accompagna poi, in particolare, l’assenza di un fondo unico per la cooperazione internazionale allo sviluppo, che pure era stata una delle richieste centrali avanzate al Ministero dagli operatori;

3) l’istituzione dell’AICS (Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo) e del CICS (Comitato Inter-ministeriale per la Cooperazione allo Sviluppo) che, insieme con la delega alla cooperazione internazionale, assegnata nell’ambito delle competenze del Ministero Affari Esteri, e alla revisione di funzioni della competente DGCS (Direzione Generale per la Cooperazione allo Sviluppo) vengono a delineare il profilo della nuova governance del sistema, attribuendo, in particolare, all’Agenzia compiti di individuazione, selezione e valutazione delle azioni, delle misure e dei progetti di cooperazione allo sviluppo, ed al CICS il compito di definire l’orientamento della co-operazione allo sviluppo attraverso il coordinamento e la concertazione tra i ministeri interessati; sebbene però la proposta di legge finisca con l’attribuire al Ministro degli Esteri in via puramente facoltativa e non vincolante la facoltà di assegnare la delega alla cooperazione internazionale ad un proprio vice-ministro, pur essendo questa un’altra delle (peraltro poche) richieste-chiave avanzate dagli operatori.

Gli interventi programmati insistono ora sull’uno ora sull’altro dei diversi punti della riforma.

Silvia Stilli, portavoce AOI, delinea il contesto generale in cui è maturata la proposta di riforma. Il 2014 è un anno di transizione, essendo alla vigilia (2015) del processo di valutazione internazionale in ordine al conseguimento degli Obiettivi di Sviluppo del Millennio (MDG), a conclusione del cosiddetto “decennio di sviluppo” (2005-2015) delle Nazioni Unite; ed essendo inoltre un anno su cui si affacciano numerosi conflitti regionali e internazionali (basti pensare a quanto sta accadendo nel Vicino Oriente, nell’Africa Mediterranea e nell’Europa Orientale) dei quali sono in corso tavoli e tentativi di negoziato e di risoluzione. La cooperazione allo sviluppo nel biennio 2014-2015 ha più che mai di fronte la sfida di intercettare le istanze ed i bisogni che tali crisi e tali conflitti stanno già determinando, basti solo guardare allo scenario della Siria ed alla tragedia umanitaria che vi si sta consumando. Si impongono, quindi, il “tema” ed il “problema” di come affrontare, come sistema-Paese e come attori della cooperazione allo sviluppo, tali autentiche sfide locali, regionali e globali.

Le prossime elezioni per il rinnovo del Parlamento Europeo (25 maggio) rappresentano un passaggio, al tempo stesso, significativo e minaccioso, da un lato perché per la prima volta nel processo elettorale verranno indicati anche i candidati alla carica di presidente della Commissione Europea e si insedierà un Parlamento Europeo finalmente dotato di più funzioni e più competenze, dall’altro perché prendono sempre più piede in Europa, alimentati dalla crisi e dall’incertezza, i venti e le forze di destra, demagoghi, populisti, localisti, nazionalisti e anti-europei. Tutto questo deve indurre tutti, decisori politici ed attori sociali, ad una forte attenzione politica e ad un conseguente impegno finanziario a sostegno degli sforzi della cooperazione internazionale, delle politiche per lo sviluppo ed il partenariato internazionale e della risoluzione pacifica dei conflitti. Aspetti su cui, d’altronde, non mancano le contraddizioni, come dimostra lo storno dei fondi dell’otto mille, proditoriamente trasferiti – dal governo centrale stesso – dalla cooperazione internazionale allo sviluppo ad altri settori.

Tornando alla relazione di Silvia Stilli, vengono avanzate tre osservazioni in merito alla riforma:

1) valorizzare sussidiarietà e ruolo del Terzo Settore nel sistema della cooperazione allo sviluppo,

2) riconoscere la ricchezza e la pluralità del mondo della cooperazione non-governativa,

3) coinvolgere in maniera significativa e protagonistica le comunità di immigrati nel nostro Paese.

Elisa Bacciotti (AOI) torna, nella relazione, su alcuni punti di valutazione e bilancio della riforma:

1) il rilievo conferito alla nomina di un vice-ministro dedicato con delega nella persona di Pistelli,

2) l’importanza rappresentata dall’inversione di tendenza in merito allo stanziamento dei fondi,

3) l’impegno del Governo in merito ai fondi stanziati per la lotta alla povertà ed alle pandemie,

4) l’incremento dei fondi disponibili, attestatisi su 181 milioni euro più 60 milioni euro nel fondo di rotazione finoal 2016 che consente, almeno, l’impostazione di una programmazione di medio periodo,

5) l’attivazione di alcuni strumenti legislativi per la programmazione degli interventi di sviluppo, tra cui il ritorno dell’Italia nel Fondo Globale per la Lotta ad AIDS, TBC e malaria (100 milioni di euro).

Tutto ciò viene rappresentato, nella relazione, come inversione di tendenza significativa, sia perché attesta la ripresa di attenzionepolitica, sia perché apre opportunità di miglioramento degli strumenti.

Luca De Fraia (CINI) si sofferma, nella relazione, sulle risorse e il profilo dell’intervento di riforma. Il tema all’ordine del giorno per il 2014 è quello della qualità, della effettività e della efficacia della cooperazione internazionale allo sviluppo, soprattutto intorno alle seguenti tre aree di priorità:

1) il ruolo del settore privato – complessivamente inteso – nell’azione di sistema per la cooperazione,

2) il ruolo delle risorse domestiche nel quadro degli stanziamenti complessivi per la cooperazione,

3) il ruolo dei Paesi del Nord del mondo e quello della cooperazione internazionale Sud – Sud.

Il “rischio”, che può essere declinato tanto “in positivo” quanto “in negativo”, è quello di una nuova narrazione della cooperazione internazionale allo sviluppo, lontana da quella degli ultimi trent’anni.

Vi sono certamente, a tal proposito, alcuni temi prioritari, la cui importanza si impone all’attualità:

a) la scelta di puntare sull’ownership, come bussola della cooperazione internazionale di natura non governativa, nel senso che i progetti devono nascere e vivere eminentemente nelle comunità-target,

b) la richiesta di rafforzare le buone pratiche del settore, sia nell’ambito delle azioni, sia nel quadro della interlocuzione strutturata tra istituzioni politiche e società civile impegnate nella cooperazione,

c) l’appello a non perdere di vista l’anno-chiave 2014, sia come anno di implementazione, sia come anno di transizione, ed impegnare il semestre europeo di presidenza italiana anche per impattare sulla cooperazione internazionale allo sviluppo e sulle modalità di impegno dell’aiuto allo sviluppo.

FedericaMogherini, deputataPD e coordinatrice dell’inter-gruppo parlamentare per la cooperazione:

1) invita a “consolidare il consolidamento” in corso dal 2012, anche attraverso gli impegni previsti con il “decreto missioni”, ed a rafforzare l’interlocuzione tra la società civile e i gruppi parlamentari;

2) richiama all’impegno del sistema-Paese nel contesto del semestre europeo di presidenza italiana sia sull’impatto della cooperazioneitaliana allo sviluppo sia sulle opportunitàofferte da EXPO2015;

3) sollecita a non “perdere l’occasione” della approvazione di “questa” legge di riforma del settore della cooperazione, che giunge alla fine di un percorsolungo e “rischia” di essere l’ultimaoccasione.

Seguono, nello svolgimento dei lavori del convegno, alcuni interventi programmati, tra cui quello di Giulio Marcon, deputato indipendente di SEL, uno dei pochi a ricordare le criticità del progetto:

  1. l’assenza del fondo unico della cooperazione,

  2. l’eccessiva dipendenza della filiera dal MAE,

  3. l’enfatizzazione del mondo del privato profit,

  4. la scomparsa del volontariato internazionale,

  5. l’ambiguità tra cooperazione civile e militare,

  6. l’incertezza tra sviluppo ed interventi militari,

  7. il profilo complessivo assai opaco e deludente.

FrancescoPetrelli, portavoce di ConcordItalia, inaugura la seconda sessione della conferenza con il:

1) ripensare la cornice delle politiche, degli interventi e degli strumenti,

2) cogliere l’occasione del semestre europeo sui temi della cooperazione e della immigrazione,

3) guardare alla nuova Agenda per lo Sviluppo che farà seguito ai MDG nella fase post-2015.

Giorgio Tonini, senatore PD e relatore sulla legge di riforma della cooperazione internazionale allo sviluppo, ricorda come l’iniziativa legislativa da parte del Governo fa seguito alla presentazione del disegno di legge Tonini-Mantica di riforma del settore, che a propria volta aveva ripreso il lavoro sviluppato dal Parlamento nel corso della precedente legislatura, a sua volta ancora erede della proposta congiunta Prodi-D’Alema-Sentinelli all’epoca del governo Prodi. Ciò comporta l’esigenza di articolare una riflessione complessiva, sul metodo e sul merito. Quanto al profilo “di metodo” si richiede capacità di ascolto nel lavoro parlamentare e concretezza per centrare l’obiettivo di una vera e propria riforma di sistema pur con tutte le modifiche da apportare. Quanto al profilo “di merito”, vi sono almeno alcune correzioni, oltre alle altre che si aggiungeranno, da apportare al testo di riforma:

a) l’introduzione della figura di vice-ministro dedicato rappresenta una facoltà e non una prescrizione,

b) l’assenza del fondo unico per la cooperazione impone di garantire la continuità dei finanziamenti,

c) il rapporto tra l’Agenzia e la DGCS va precisato (l’Agenzia è una figura tecnica, non diplomatica).

Egizia Petroccione, portavoce CINI, nel suo intervento sottolinea l’importanza dell’iniziativa del governo, al netto, sebbene “molte richieste” del mondo-cooperazione siano accolte, delle modifiche:

1) la figura del vice-ministro dedicato va istituita e garantita in forza di legge e non in via facoltativa,

2) il fondounico va reso stabile per non disperdere l’elaborazione per la c.d. coerenzadellepolitiche,

3) l’Agenzia dev’essere una struttura tecnica, trasparente e competente, non un doppione della DGCS.

Al di là dei temi trattati da queste relazioni, va detto, tuttavia, che uno dei punti più clamorosamente deludenti della proposta di riforma è quello della sostanziale equiparazione tra mondo non-profit e mondo profit nell’attività di cooperazione e partenariato internazionale allo sviluppo. È necessario almeno chiarire a quali condizioni il privato profit possa accedere ai fondi della cooperazione e, sebbene vari attori non-profit della cooperazione guardino con favore all’ingresso del mondo del profitto nella cooperazione, è più che mai opportuno distinguere tra cooperazione (tesa alla costruzione di partenariati internazionali per lo sviluppo locale e la sicurezza umana) e internazionalizzazione (tesa alle esigenze di profitto, all’apertura di nuovi mercati e alle istanze di business del sistema di impresa).

Nino Sergi (LINK 2007), nel suo intervento richiama all’esigenza di ulteriori migliorie da apportare:

  1. nella proposta governativa di riforma, “legge quadro” diventa “disciplina generale”,

  2. il vice-ministro dedicato va istituto in forza di legge e non in via facoltativa,

  3. è necessario lavorare per superare ogni minaccia di compromesso al ribasso tra burocrazie,

  4. l’Agenzia deve essere dotata di piena autonomia funzionale, gestionale e di bilancio,

  5. l’Agenzia deve essere sottratta alla subalternità alla DGCS, che è invece “luogo” politico,

  6. la cooperazione va resa sempre meno assistenzialistica e sempre più capace di impatto,

  7. la cooperazione, infine, va centrata sul partenariato internazionale e dotata di continuità.

Nelle sue conclusioni Emilio Ciarlo, consigliere politico del vice-ministro Lapo Pistelli, ricorda che:

a) tra “legge quadro” e “disciplina generale” non vi è una differenza sostanziale, dal momento che la denominazione di “legge quadro” viene adottata per gli interventi normativi destinati a sancire il “quadro di riferimento” per la legiferazione delegata e derivata ad opera delle Regioni e gli EE. LL.,

b) l’introduzione, sebbene non vincolante, della figura del vice-ministro dedicato con delega ad hoc rappresenta elemento di ricaduta significativo perché concorre a garantire la coerenza dell’impegno istituzionale sul tema anche se di per sé non può porsi come garanzia della coerenza delle politiche,

c) la coerenza delle politiche, a sua volta, viene intercettata dal disegno di legge di riforma, sia perché le politiche di settore vengono indicate dal testo di legge, sia perché è istituito un comitato inter-ministeriale (CICS) con compiti di co-definizione strategica tra tutti i ministeri interessati,

d) l’istituzione del fondo unico per la cooperazione, per quanto non prevista all’interno del testo di riforma, risulterebbe un elemento problematico, dal momento che la ripartizione degli stanziamenti riporterebbe il lavoro dell’istituendo CICS sotto la Presidenza del Consiglio e quindi lo sottrarrebbe di fatto alla lettura parlamentare, contro lo spirito partecipativo e democratico proposto dalla legge,

e) il CICS mantiene la facoltà di proporre le modalità di assegnazione delle risorse previste per la cooperazione internazionale allo sviluppo attraverso i riparti di spesa (cosiddetta coerenza di prassi),

f) l’Agenzia deve essere resa autonoma sia sotto il profilo gestionale sia sotto il profilo di bilancio, mantenendo comunque un legame forte con la DGCS pur nella rispettiva specificità (essendo la DGCS deputata all’elaborazione delle politiche, l’Agenzia deputata alla direzione della cooperazione),

g) la partecipazione degli stakeholder a tutto il processo di definizione della cooperazione allo sviluppo e per articolare la filiera va reso, col dialogo strutturato, elemento-chiave della governance.

In conclusione, il punto debole, che inficia di prospettiva questa riforma della cooperazione, è quello della articolazione di questa governance, non solo per la sostanziale mancanza della messa a coerenza delle politiche (non c’è alcun collegamento, oggi decisivo, tra impegno per la cooperazione allo sviluppo ed impegno per il lavoro di pace e per la risoluzione pacifica e negoziata delle crisi e dei conflitti, talvolta nelle medesime aree-obiettivo interessate alla realizzazione della cooperazione e dei partenariati), ma anche per la confusione che si determina tra i vari comparti di politica internazionale.

Se l’ottica di sistema della proiezione internazionale del Paese attraverso i suoi quattro pilastri (cultura, italiani nel mondo, cooperazione e internazionalizzazione) non può che prevederne una adeguata “messa a valore” e “messa a sistema”, valorizzando e rafforzando la specificità e il valore aggiunto di ciascuno, la vigenza di una logica assistenzialistica della cooperazione e la sostanziale legittimazione della “invasione di campo” dell’internazionalizzazione all’interno della cooperazione, con un ruolo di primo piano riconosciuto alla logica profit e al mondo di impresa, facendo perfino scomparire il ruolo del volontariato internazionale e lo specifico della solidarietà internazionale, rappresentano elementi negativi, che l’iter parlamentare può senza dubbio intercettare e correggere, ma sui quali sarebbe necessario un di più di approfondimento e di consapevolezza anche da parte del mondo della cooperazione allo sviluppo non-governativa. Dove sono finiti la prospettiva, la visione, l’orizzonte di senso del fare cooperazione internazionale? Perché ancora una così martellante insistenza sulla logica dell’aiuto più che su quella del partenariato, della rete, del rapporto pari tra soggetti, comunità, territori? Che fine ha fatto la “problematizzazione” della categoria medesima dello “sviluppo”, qui invece acriticamente assunta come tema-guida, lemma-senso, “stella polare”?

Com’è stato già ricordato, c’è molto da rivedere, e non nel senso per il quale spinge questo Governo: non nel senso, cioè, della cooperazione fatta dai privati, per esigenze di immagine ed a tutela dei profitti, “a servizio” della politica del Governo e degli interessi del business, coinvolgendo persino, sempre più, i militari nella gestione delle crisi e delle emergenze. Com’è noto, la cooperazione inter-nazionale è una scelta politica e, allora, tanto meglio non lasciarla nelle mani di burocrati e di tecnocrati. Se poi questo dev’essere il nuovo volto della cooperazione, tanto vale saltare questo giro.