Un forum regionale per la pace e la riconciliazione nazionale si è tenuto nel fine settimana a Gao, la più grande città del nord del Mali, già teatro di una crisi armata durata 18 mesi ma ancora instabile. All’iniziativa presieduta dal ministro della Riconciliazione nazionale e dello sviluppo del Nord, Cheick Oumar Diarrah, hanno partecipato 500 delegati in rappresentanza dei vari gruppi e autorità della regione di Gao con l’obiettivo di “risolvere le tensioni intercomunitarie” ha riferito il sito del Journal du Mali. L’incontro si è tenuto in un clima incerto e ulteriormente complicato dai recenti proclami di guerra della ribellione tuareg del Movimento nazionale di liberazione dell’Azawad (Mnla).

I ribelli dell’Mnla hanno accusato l’esercito regolare di “atti barbari e selvaggi” per aver aperto il fuoco su un gruppo di manifestanti, per lo più donne e giovani, che hanno protestato all’aeroporto di Kidal contro il primo ministro Oumar Tatam Ly, costretto ad annullare la sua visita nell’altro capoluogo settentrionale lo scorso 28 novembre. Nell’intervento dei soldati un civile è stato ucciso e cinque altri sono rimasti feriti da colpi d’arma da fuoco. “Quanto accaduto a Kidal costituisce una dichiarazione di guerra (…). Dove incontreremo l’esercito maliano, lanceremo un assalto automatico contro i suoi soldati. Dovranno pagare per la loro irresponsabilità e per le esazioni commesse” ha avvertito il vice-presidente dell’Mnla, Mahamadou Djeri Maïga. L’inasprimento delle tensioni già esistenti tra le autorità di Bamako e i tuareg dell’Mnla rischia di complicare ulteriormente il già difficile processo di riconciliazione nazionale e le trattative politiche tra le due parti.

Inoltre i fatti di Kidal sono al centro di un contenzioso tra le autorità maliane e la Missione internazionale in Mali (Minusma). Il presidente Ibrahim Boubacar Keita ha comunicato il suo “stupore” e “scontento” al capo della missione Onu, Bert Koenders, denunciando il comportamento “quasi indifferente dei caschi blu di fronte alle gravi minacce alla pace a Kidal”. Anche la Francia viene criticata da tempo per il suo comportamento “ambiguo” nei confronti dei tuareg.

Ma dal nord giunge un’altra minaccia: quella dei gruppi armati di matrice islamica, ancora presenti e attivi nella vasta e desertica regione dell’Azawad. Nel fine settimana la località di Menaka è stata colpita da un attentato che tuttavia non ha raggiunto il suo obiettivo. Un kamikaze, che faceva parte di un gruppo di altri sette assalitori, si è fatto esplodere non lontano da una base militare francese dell’operazione Serval. Il bersaglio dell’attacco non è chiaro: poteva trattarsi del contingente di Parigi ma anche delle truppe del Niger dispiegate nell’ambito del mandato della Minusma o dell’esercito maliano.

Nel paese del Sahel che si prepara a tornare alle urne per il ballottaggio delle legislative, in agenda il 15 dicembre, un altro fattore di incertezza e di divisione è rappresentato dall’ex capo della giunta militare golpista Amadou Haya Sanogo, incriminato la scorsa settimana per omicidio e concorso in omicidio nei fatti risalenti allo scorso 30 settembre al campo militare di Kati. Dopo il suo arresto, una quindicina di persone è finita in manette nell’ambito della stessa inchiesta e il sito d’informazione Malijet ha riferito che “altre teste cadranno tra collaborati e dirigenti del periodo di transizione”. Sanogo, autore del colpo di stato del marzo 2012, promosso al grado di generale lo scorso agosto, e i suoi berretti verdi godono ancora di un forte sostegno di una parte della popolazione.