Archeologia, ma anche ambiente e urbanistica. Parti di un tutto che non può essere più considerato un fondale muto e immobile.

Il paesaggio è la nostra storia, la sintesi di antropizzazione e natura nei diversi luoghi del Paese. La tutela e la valorizzazione di questo insieme quasi unico è un obiettivo non più da enunciare. Ma da raggiungere attraverso le buone pratiche. Attraverso politiche serie.

I crolli con i quali Pompei fa notizia con drammatica frequenza. Come le alluvioni e le frane in Sardegna e poi nelle Marche e in Abruzzo, qualche anno prima a Sarno, in Veneto e in Liguria. Sono gli esiti naturali di una scriteriata sottovalutazione di ambiti mentali, ma anche geografici. Sono il risultato scontato di una pervicace e prolungata disattenzione a temi derubricati a marginali. Troppo spesso, insignificanti.

Il patrimonio archeologico del Paese, costituito da un numero impressionante di siti e singoli monumenti, continua a segnalarsi per criticità di varia portata. Sostanziale abbandono denunciato dalla presenza di vegetazione, mancanza di pannelli informativi, estraneità dall’intorno con conseguente marginalità, non solo topografica. Da Canne della Battaglia ad Ariccia, da Catania a Milano, da Ancona a Roma. Dai territori di piccoli centri, al centro delle grandi città. Senza sostanziali differenze. Insomma a rimanere sostanzialmente invisibile è la gran parte del patrimonio archeologico italiano. In abbandono molto più di quanto appaia. Anello debole di un sistema che si è privato di qualsiasi prospettiva.

A deprimere ulteriormente questo ambito, oltre che a rendere sempre più fragile il nostro habitat, concorre da tempo la mancanza di un serio controllo del territorio. Sul quale si riverberano, amplificandosi, scelte generalmente non fatte. Un’urbanistica scriteriata intenta a densificare i centri urbani e ad espandere periferie. Una politica incentrata sull’occupazione di nuove porzioni di territorio. Praticata colmando corsi d’acqua a carattere torrentizio, utilizzando le aree para fluviali ed i versanti esposti, desertificando ovunque possibile.

Il paesaggio nel suo insieme, abbandonato. Colpevolmente separato nei suoi elementi costitutivi e poi governato senza alcuna capacità. Senza mai affrontare le questioni in profondità. Passando dal crollo di un tratto delle mura Aureliane a quello di un settore della Domus Aurea, a Roma, con ingiustificato stupore. Dalle sciagure liguri alla sommersione del sito di Metaponto quasi con rassegnazione. Cultura e Urbanistica da troppi decenni non si sono mai elevate al rango di politiche culturali e urbanistiche. Esercitandosi in dispute senza qualità, in operazioni prive di utilità pubblica.

Le città, nelle quali l’unico modello seguito sembra quello dell’ “aggiunta a prescindere”, hanno la necessità di ripensarsi. Recuperando quel patrimonio immobiliare inutilizzato che continua ad addensare su di esse zone d’ombra. Creando organismi inclusivi. Città nelle quali anche i monumenti siano parti vitali. Città nelle quali le periferie si trasformino in modelli urbani decentrati.

Il paesaggio è l’elemento imprescindibile dell’umano essere. L’elemento portante di qualsiasi architettura. Ricostruirne le parti perse, recuperare quelle lacerate, così da ricomporlo nella sua unitarietà, è un obbligo. Per chi vuole scrivere una nuova storia.

 

Manlio Lilli

Romano, archeologo, blogger. E’ stato professore a contratto all’Università degli studi di Perugia. Ha pubblicato contributi e ricerche monografiche in riviste scientifiche di settore, nazionali e internazionali, oltre ad alcune voci nell’Enciclopedia Archeologica e nel Mondo dell’Archeologia a cura della Treccani. Scrive di politiche culturali e urbanistiche su Formiche, L’Huffingtonpost, Il Fatto Quotidiano.it, Istituto di Politica, Left, Lettera 43, Linkiesta e Strade. Lavora ad un’utopia, che l’Arte si faccia strategia politica e la Politica un’Arte.

(Articolo inviato  da ateniesi.it)